Dancalia – volti e paesaggi di un territorio remoto
Dicembre 2019 - Gennaio 2020 - Diario di viaggio di Jole & Adel 11 giorniCi affidiamo all’Agenzia di viaggio Afronine e facciamo bene; Gianmarco, la nostra guida, ha il dono di farci immergere nella storia, nella cultura e nell’ambiente di questa zona così particolare dell’Africa: un racconto che segue da un lato il binario dei suoi ricordi di una infanzia felice con la ricostruzione storica ed etnografica del territorio, delle sue etnie e di una cultura che sta velocemente e drammaticamente sparendo; dall’altro il binario delle bellezze paesaggistiche e geomorfologiche di questa piccola parte di mondo, un tesoro di forme e colori che impressionano finanche la fantasia.
Più che un racconto dettagliato di un viaggio con le sue tappe (che comunque troverete alla fine), vorrei condividere il ricordo di emozioni e di sensazioni, di quelle più intense, che ti restano avvinghiate all’anima perché ti hanno sorpreso, messo in difficoltà, spesso a disagio. Sono soprattutto i volti delle persone, dei bambini, delle donne, la loro intensità e spesso la loro indignazione nei confronti dell’invadenza del nostro irrispettoso teleobiettivo.
Ciò ha fatto sì che molto spesso le testimonianze visive di questo loro mondo siano state rubate, catturate di nascosto e, solo raramente, concesse e donate. È stato importante mostrare loro le immagini scattate, per tranquillizzarli e soddisfare la loro curiosità, spesso vanità, soprattutto dei bambini. E proprio i bambini sono stati la chiave per essere accettati, accompagnati e poi accolti nelle loro comunità, nei loro ambienti, nella loro vita quotidiana. Il gioco ed il sorriso hanno abbattuto le barriere e la diffidenza, hanno accorciato le distanze e annullato le differenze.
Non avrei mai immaginato un accostamento simile e comunque lontano dai centri abitati, in luoghi remoti, dove l’uomo si è accostato alla natura con timidezza e con il rispetto di chi sa di essere ospite. Invece, è stato proprio ad Harar che abbiamo vissuto due incredibili esperienze, che si ripetono ataviche ed immutate nel tempo, quotidianamente.
La prima al mercato della carne, in una piazzetta raccolta tra porticati e cielo, dove gli scarti della macellazione vengono accuratamente riposti per nutrire un rapace raro, ma qui di casa: il falco. Giungiamo alla piazzetta quasi per caso, e senza alcun preavviso ci rendiamo conto di essere all’interno di un terreno di caccia. Il cielo è popolato da decine di uccelli di grandi dimensioni, che volteggiano e scendono in picchiata su di noi! Ma poi deviano e puntano le mani di giovani, sulle quali sono posati brandelli di carne, e con precisione chirurgica artigliano il loro pasto. È un flusso continuo, ininterrotto, quasi stordente. Chiediamo ed otteniamo di poterli nutrire anche noi, per qualche spicciolo. Difficile fotografarli, troppo veloci; meglio le riprese.
Una volta lasciati i centri abitati più grandi ci siamo immersi nei paesaggi sconfinati del deserto e degli altopiani, dove lo sguardo si perde all’orizzonte e dove rare abitazioni sparse rappresentano l’unica espressione della presenza umana. Qui la vita fonda la sua sopravvivenza sull’essenziale, sul duro lavoro ed il quotidiano scontro con la limitatezza delle risorse; dalla scarsità dell’acqua alla difficoltà della coltivazione della terra, dal governo degli animali domestici al commercio dei propri prodotti. Una economia povera, così lontana dai nostri standard minimi e dalla accessibilità di risorse per noi scontate. Eppure il sorriso accompagna sempre i bambini, la gioia di vivere rende più la leggera l’esistenza.
E la consapevolezza di essere tra i pochissimi turisti è avvalorata dallo stupore dei bambini, dalla ritrosia e dall’orgoglio degli adulti. È viva la percezione dell’autenticità delle manifestazioni della gente, degli usi e costumi che catturiamo con lo sguardo e, a volte, con il nostro obiettivo; ma anche il timore dei profondi cambiamenti che sono in corso, che rischiano di cambiare il volto antico e prezioso di questo angolo di Africa.
Anche la fede ha i suoi volti, con i segni del tempo e della sofferenza profondamente incisi sulla pelle. Nonostante gli affollamenti e le processioni, il culto è una manifestazione privata, intima, espressione di speranze ed aspettative, ma anche di devozione e generosità. Volti di gente comune si affiancano a quello del Patriarca, che celebra la messa davanti al Santuario di San Gabriele.
La partecipazione alle grandi manifestazioni popolari ha, però, qualche regola da seguire e spesso qualche prezzo da pagare; siate attendi a seguire in disparte, non protagonisti, nel rispetto della cultura e della credenza altrui. Attenzione agli spazi costretti, quando le persone si ammassano trasportate dalla devozione e dalla partecipazione; qualche mano invisibile ed esperta potrebbe frugare le vostre tasche, i vostri marsupi, le vostre borse. A diversi di noi sono stati sottratti i cellulari, senza che minimamente ce ne fossimo accorti, se non troppo tardi.
I paesaggi sono stati la grande sorpresa di questo viaggio: dal deserto roccioso a quello sabbioso e a quello salato, dai laghi salmastri alle sorgenti idrotermali variopinte, dalle caldere alle valli fluviali profondamente incise. Da un punto di vista geologico e geomorfologico la Dancalia offre veramente tutto, espressione di una trasformazione della crosta terrestre che nelle ere geologiche ha dato luogo a fenomeni tettonici, effusivi (vulcanici), idrotermali, erosivi e di deposito dei sedimenti.
Questa varietà di ambienti ci ha consentito di godere delle multiformi bellezze del territorio, sia immergendoci nell’intensità di tesori nascosti in spazi limitati (come il Dallol), o custoditi da particolari morfologie geologiche (come il Derta Ale), sia perdendoci nella loro sconfinatezza (come i diversi deserti). Siano essi confinati o sconfinati, tutti i paesaggi sono stati un’opportunità di un viaggio interiore, solitario ed intimo, che ha avuto la capacità di fissare emozioni nel profondo e restituirle tutte le volte che il ricordo le richiama; la fortuna di poterli rivivere silenziosamente, non visti e riconoscenti.
Il 29 è stato dedicato alla visita di Culubi con il Santuario di San Gabriele e la famosa e imperdibile processione; e poi al trasferimento ad Awash.
Il 30 visitiamo l’Awash National Park con le sue cascate ed un veloce ma interessante game drive, per poi affrontare il lungo trasferimento ad Asayta.
Il 31 è dedicato al complesso e articolato mercato di Asayta, alla visita di un villaggio Afar e del lago Afambo, quasi al confine con Gibuti. La sera stessa raggiungiamo Semera, dove godiamo tutti insieme di uno splendido cenone di capodanno in un lussuoso albergo vicino all’aeroporto.
Il primo dell’anno è dedicato allo spostamento verso Afdera (o Afrera) e l’omonimo lago salato, con le splendide vasche di produzione del sale; lungo il viaggio incontriamo tombe Afar, sparse nel deserto roccioso o raccolte in piccoli agglomerati cimiteriali. La notte del 1 gennaio è dedicata al vulcano e relativa caldera dell’Erta Ale, splendido e scenografico (da solo vale il viaggio), che raggiungiamo con una piacevole camminata al tramonto; si dorme sotto le stelle e non lontani dalla caldera e dai suoi fumi e gorgoglii.
Il 2 gennaio ci accomiatiamo dal vulcano e, ridiscesi, ci dirigiamo verso Ahmed Ela; lasciamo i paesaggi vulcanici per inoltrarci in quelli desertici sabbiosi e le sue oasi; ci accampiamo in una di queste, lungo un fiume, ad Assobole.
Il giorno 3 gennaio è dedicato ad un’altra perla della Dancalia, il promontorio del Dallol, che sorge inatteso dalla immensa piana del deserto del sale, percorso quest’ultimo da lunghe carovane di cammelli che ne trasportano il prezioso contenuto verso Addis Abeba. Purtroppo, siamo capitati nel bel mezzo di uno sciopero dei lavoranti del sale, contro l’abbassamento del suo valore causato dalla prossima realizzazione da parte dei cinesi di una strada che andrà a sostituire il trasporto dell’antico prodotto ora via cammello. Il Dallol ospita una serie di sorgenti idrotermali, caratterizzate da una incredibile varietà di minerali in soluzione che, con i loro colori, accendono pozze e vasche con una varietà inimmaginabile (anche questo da solo vale il viaggio).
Il 4 gennaio è, invece, dedicato ad una splendida camminata lungo la valle fluviale del fiume Sabbah, risalendone il corso sinuoso tra innumerevoli guadi e passaggi tra le rocce; ci concediamo anche un tè in un accampamento di fortuna, preparato da una famiglia Afar.
Il 5 gennaio è una giornata di trasferimento da Melabdai a Wukro, dove visitiamo una piccola ma preziosa e antica chiesa rupestre; poi si arriva a Makallè, dove ceniamo in un locale tipico, tra danze e canti locali, e poi ci imbarchiamo in aereo per Addis Abeba e da qui per Roma.
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