Goa, tra la salsedine e l'incenso

Maggio 2019 - Diario di viaggio di Stefania Altieri
E’ un posto strano Goa. E’ un’India che non è India.
Quando arriviamo all’aeroporto di Dabolim, dopo ore di aerei e attese, veniamo avvolti dall’afa e da una folla di persone. Poi ci aspetta un’altra ora e mezza di strada polverosa e trafficata, fino ad arrivare a Palolem.
Goa è lo stato più piccolo, potrebbe facilmente passare inosservato sull’enorme mappa del Paese, ed è anche il più ricco, con un PIL pro capite di due volte e mezzo la media nazionale. Il motivo è legato al suo passato e al turismo, che attira ogni anno migliaia di persone lungo i suoi 100 Km di costa.

La divisione in tre distretti è solo convenzionale. A nord si trovano Panaji e Old Goa, molto frequentate da turisti indiani e da occidentali e rappresenta la parte storica. Più a sud ci sono le note località balneari e le spiagge selvagge, con le caratteristiche palme, il mare caldo e il clima tropicale. Goa centrale, infine, comprende la parte da Ponda sino alle cascate di Dudhasagar, passando dalle risaie alle piantagioni di spezie e di thè.

Il villaggio di Palolem, affacciato sul Mare Arabico, al calar del sole si anima. Al tramonto le donne colorano il mare con i loro sari variopinti. Gli uomini vestiti giocano sul bagnasciuga con i bambini. Questo spaccato di vita, di armonia e serenità familiare, dura fino alla comparsa della luna.

Poi la scena si sposta a Main Road, la strada principale, che prende vita e si affolla di turisti in cerca di un locale dove cenare. I ristoranti espongono fieramente il pesce fresco pronto per essere cucinato, mentre i negozianti invitano con insistenza a comprare la loro merce o a provare un massaggio ayurvedico rilassante.

Quando anche l’ultimo avventore della notte va a dormire, la spiaggia torna in mano ai suoi legittimi proprietari. Il pesce si mangia con tutto ed il mestiere del pescatore è rimasto ancora vivo. Un proverbio locale dice che i giovani devono imparare a riparare le reti molto velocemente prima di mettere piede in mare.

A maggio i baracchini e i chioschi che offrono ristorazione e alloggio, dopo la bella stagione, chiudono e vengono smontati. Riaprono ad ottobre, dopo il periodo delle incessanti piogge. Alle spalle della spiaggia, tra palme di cocco e piante di zenzero, c’è un mondo nascosto che brulica, dove i turisti raramente si avventurano e che appartiene solo ai locali.
Non è solo il turismo che rende insolito questo Stato rispetto al resto del Paese. Si respira un’aria diversa. C’è una sorta di malinconia, che pervade ogni cosa. La si percepisce passeggiando tra i resti dei forti e dei castelli, dalle chiese barocche lasciate in eredità da oltre 400 anni dai portoghesi. La saudade aleggia tra le architetture e le strade strette dei quartieri di Panaji, la piccola Lisbona, dove il cattolicesimo è rimasto religione predominante.

Tra croci cristiane e riti indù, tra palazzi ocra e facciate pastello, tra porte ossidate dal tempo e piastrelle bianche e blu, se non fosse per qualche mucca sul ciglio della strada o sdraiate sulle spiagge, si potrebbe immaginare di essere in qualunque altro territorio coloniale.

Negli anni ’70 Goa era considerata una terra promessa, il paradiso degli artisti, il desiderio di libertà degli hippies, il rifugio degli amanti della musica techno e ancora oggi è rimasta un riferimento per il turismo alternativo. Oltre ai rave party e alle notti sfrenate, però, c’è anche la possibilità di rilassarsi, immersi nella natura, tra lezioni di yoga e meditazione.

Un tempo si dormiva nelle case locali o in spiaggia con il sacco a pelo aspettando, intorno al fuoco dei falò, la luna piena durante i leggendari full moon party. Le cose sono cambiate e i sogni sono svaniti. La speculazione edilizia sta deturpando l’ambiente e, purtroppo, l’atteggiamento degli indiani si conferma anche in questo piccolo regno beato. Le lunghe attese per qualunque cosa ne sono il primo indizio. La seconda traccia è la plastica lasciata sulle spiagge e per le strade. Il terzo segno peculiare è il traffico caotico, caratterizzato dalla prepotenza degli automobilisti e dall’inquinamento acustico.

Nonostante tutto, però, resta il fascino della decadenza, della volontà della gente di superare la povertà e di vivere le difficoltà con resilienza. Questa è la forza di un Paese pieno di contraddizioni, ma vero e autentico. Le persone del posto cercano il contatto con i turisti stranieri chiedendo selfie e facendo tante domande. I mercati ti avvolgono con profumi di spezie, sapori piccanti e colori di stoffe… e tu rimani lì, tra la salsedine e l’incenso, imprigionato in un caos che non riuscirai più a dimenticare…

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