Mali

Novembre 2010 - Diario di viaggio di Antonella Fornaro
16 giorni

Venerdi 12 novembre 2010

Si parte per il Mali! Alle 8.25 abbiamo il volo da Genova, arriviamo a Roma e lì incontreremo il gruppo di Avventure nel Mondo. Abbiamo avuto pochi contatti con i nostri compagni di viaggio, solo qualche mail con la capogruppo. Io non ho contattato nessuno perché non voglio immaginare come saranno i componenti del gruppo prima di partire, preferisco scoprirlo “sul campo”, perché troppe volte l’apparenza inganna. L’appuntamento è alle 11, abbiamo tutto il tempo di fare le cose con calma e di prendere l’ultimo caffè italiano a Fiumicino. Da Roma voliamo ad Algeri, dove dobbiamo aspettare 5 ore il volo per Bamako. Chiacchieriamo con alcuni componenti del gruppo e ci prendiamo un caffè algerino. L’aeroporto è piuttosto nuovo e deserto, siamo solo noi e poche altre persone. Il volo per Bamako prosegue per me in dormiveglia.. sono circa 4 ore ma mi sembra lunghissimo… Arriviamo a Bamako alle 23, per fortuna con noi arrivano anche tutti i bagagli e quindi andiamo in albergo: squallidissimo, nel classico stile Avventure nel Mondo. Vado a dormire tardissimo, perché voglio riorganizzare il bagaglio e farmi una doccia.

 

Sabato 13 novembre 2010  

Colazione alle 7 con baguette e marmellata, poi espletiamo le solite formalità di inizio viaggio, tipo cambio soldi e cassa comune, e finalmente partiamo. Ci fermiamo diverse volte: per comprare il pane, per cercare la bombola per cucinare, per comprare la frutta… Ad ogni sosta ci sono venditori che si avvicinano al minibus per proporci le loro mercanzie: frittelle, banane, mele… Il paesaggio dal finestrino scorre abbastanza monotono: alberi di acacia e piccoli villaggi dalle case di fango si alternano. La gente è coloratissima: tutti i colori del mondo sembrano abitare in Africa! Noi siamo diretti a Segou, sulle rive del Niger. Ci sistemiamo all’Hotel de l’Esplanade, che è proprio sulle rive del fiume ed è gestito da un italiano di Udine, e dopo un pranzo a base di pane e salame consumato a bordo piscina, partiamo in pinassa per Kalabougou, escursione che si rivelerà molto interessante. Arriviamo nel villaggio e vediamo una gran colonna di fumo: oggi le donne stanno cuocendo le grosse ciotole di ceramica per cui il villaggio è famoso, e la cottura avviene solamente nel fine settimana, quindi noi siamo fortunati ad essere qui oggi che è sabato! Le scene che si svolgono davanti a noi ci lasciano senza parole: le donne, coloratissime nei loro abiti tradizionali, sono molto indaffarate, aggiungono legna nei grandissimi falò che oscurano la luce del sole. Ceniamo in albergo, il gruppo è simpatico e la serata piacevole.

 

Domenica 14 novembre 2010

Si parte alle 8, oggi abbiamo un lungo trasferimento in pullmino. La strada è buona, il paesaggio un po’ monotono, passiamo diversi villaggi con i caratteristici granai di fango. Il viaggio diventa ancor più lungo perché l’autista rimane senza benzina: si fa portare con il motorino nel villaggio più vicino, ma perdiamo più di un’ora… ma siamo in Africa, è il minimo che possa capitare! Mentre aspettiamo che l’autista ritorni, facciamo la conoscenza con un gruppo di bambini, tra cui due bambine bellissime, da grandi potrebbero fare le modelle, sono molto più belle di Naomi! In realtà non scambiamo con loro nemmeno una parola: ci limitiamo a guardarli, a regalare loro magliette e cappellini e a fotografarli. Non so se sono timidi o se non parlano francese, si fanno fotografare molto volentieri, per loro è un modo di vedere che aspetto hanno. Quando riprendiamo il viaggio andiamo a San e visitiamo un piccolo laboratorio casalingo di stoffe bogolan, colorate con il fango e con soluzioni derivate dalle foglie degli alberi. E’ un lavoro eseguito solamente dalle donne e nel piccolo cortile dove sono esposte le stoffe ci sono naturalmente anche molti bambini che qui non mancano davvero mai. Proseguiamo la strada in condizioni abbastanza buone, e sono ormai le 17 passate quando arriviamo al punto d’imbarco per la chiatta che ci porterà a Djennè, che sorge su un’isola del Bani. Ci sono altre auto in attesa e altri turisti, per cui non mancano i venditori di collane e cianfrusaglie varie. Sono un po’ insistenti, a volte mi spazientisco, poi subito mi pento: penso quanto è dura la loro vita, tutti i giorni è una lotta per la sopravvivenza. Dobbiamo aspettare che la chiatta faccia un viaggio e che ritorni (ce n’è solo una, erano due ma una è affondata..), così ci godiamo anche uno splendido tramonto. Ormai sono pochi i chilometri che ci separano da Djennè, arriviamo che è già buio e sembra di arrivare in un presepe: la città di fango ha un’aria davvero magica. Ci sistemiamo in un hotel poco lontano dalla grande moschea di fango; possiamo scegliere di dormire in camerata oppure in terrazza, optiamo per quest’ultima e montiamo la tenda. La cena in hotel è un po’ deludente, le porzioni sono scarse.

Lunedì 15 novembre 2010

Partenza alle 8, si va a piedi a visitare la città di Djennè. Il centro e la celeberrima moschea (la più grande del mondo costruita in fango) non sono lontani dal nostro campment. La moschea è veramente imponente, sembra un castello da fiaba. E’ stata costruita nel 1907 sul modello della più antica Grand Mosquee, che sorgeva nello stesso luogo. L’edificio originario è stato costruito nel 1280; la struttura attuale, fedele all’originale, è realizzata interamente con mattoni di fango tipici del sahel  e le travi in legno che sporgono dalla struttura servono, oltre che a sostenerla, anche come impalcatura per gli operai (moltissimi volontari!) che ogni anno dopo la stagione delle piogge eseguono i lavori di manutenzione necessari per il mantenimento del rivestimento di fango. Lungo le strade sconnesse di Djennè ci sono molte scuole coraniche e molte case costruite in stile marocchino, abitate un tempo da commercianti provenienti, appunto, dal Marocco. Ma l’incredibile è il Grand Marchè: una folla brulicante di commercianti che vendono ogni genere di mercanzia si accalca nella piazza davanti alla grande moschea dando vita a un’umanità coloratissima e rumorosa. L’atmosfera è tipicamente africana, non è assolutamente un mercato per turisti, e forse è la prima volta che visito un mercato così autentico. Nel pomeriggio andiamo a visitare Senoussa, villaggio abitato da indigeni bambara e peul non lontano da Djennè. Noi la raggiungiamo con un carretto trainato da un cavallo e il viaggio non è tra i più rilassanti… Il villaggio è abitato da tantissimi bambini, sono tutti scalzi e appena ci vedono ci vengono incontro e ci circondano. Sarà una situazione a cui faremo l’abitudine, l’Africa è così.. un continente magicamente pazzo… perché riesco a scorgere negli occhi di qualche bambino la speranza e la serenità che forse i nostri bambini non hanno… Rientriamo al campment e dobbiamo dividere il nostro bagaglio: una parte lo lasceremo al corrispondente di Avventure che ce lo consegnerà a Mopti e una parte la porteremo con noi durante il trekking e la navigazione in pinassa. Ceniamo in un campment vicino al nostro, leggermente meglio di ieri.

Martedì 16 novembre 2010   

Sveglia alle 4! Il corrispondente di Avventure dice che bisogna partire alle 5 per essere sicuri di non fare la coda all’imbarco del traghetto. La cosa di rivelerà completamente inutile, perché qui, come del resto in tutta l’Africa, i mezzi pubblici partono solo quando sono pieni e così dobbiamo aspettare 2 ore abbondanti per partire. Unica consolazione: vediamo l’alba sul Bani, ma ci sono parecchie zanzare (spero non malariche!) che ci fanno la festa. Traghettiamo e continuiamo il nostro viaggio ma dopo un po’ di chilometri dal tetto del camioncino vola via la tenda di Paolo: perdiamo più di un’ora perché l’autista torna indietro, pare che la tenda sia stata presa da un ragazzino e lui vuole trovarlo e farsi restituire la refurtiva. Naturalmente non troveremo né ragazzino né tenda, in compenso arriveremo al campment con il buio. Arriviamo infatti a Dourou che sono quasi le 16, dopo un veloce spuntino partiamo per le prime due ore del lungo trekking, caricando i nostri bagagli sui carretti trainati dagli asini. Non è proprio una passeggiata.. ci sono passaggi in discesa (che io odio!) in mezzo a rocce strettissime e a un paesaggio a dir poco spettacolare. Sperimentiamo la scala dogon, scale ricavate da tronchi d’albero che facilitano i passaggi più difficili. Ci sono tanti campi di cipolle, i dogon, infatti, sono grandi coltivatori di cipolle. Il campment è spartanissimo, arriviamo tardi ma i nostri bagagli non sono ancora arrivati, li aspettiamo e poi finalmente montiamo la tenda. Per fortuna stasera alcuni volontari si offrono di cucinare la pasta: io proprio non ne avevo voglia!

 

Mercoledì 17 novembre 2010  

Partiamo verso le 8, dopo la colazione. Finalmente oggi vedrò i villaggi dogon, abbarbicati alle pareti della Falaise de Bandiagara, che si estende per 150 km a est di Mopti e raggiunge un’altezza di 500 m nel tratto tra Tireli e Ireli. I Dogon hanno una cultura animista caratterizzata da tradizioni e da una cosmologia di una complessità non riscontrabile in altre culture africane. Gli archeologi hanno stabilito, con non pochi sforzi, che i dogon arrivarono in questa regione tra il XIII e il XIV secolo, quando la falesia era abitata dai tellem, che avevano costruito abitazioni e magazzini nei luoghi più impervi della falesia, per cui i dogon credono che i tellem potessero volare e possedessero poteri magici per raggiungerli. I tellem utilizzavano le caverne nella roccia per seppellirvi i morti e molte di esse contengono ancora oggi ossa umane. Secondo la tradizione dogon, i tellem se ne andarono di loro spontanea volontà a mano che i dogon disboscavano le foreste per far posto alle coltivazioni agricole alla base della falesia. Al loro arrivo i dogon si adeguarono agli usi e costumi dei tellem e costruirono anch’essi le loro abitazioni sulla falesia; in tempi più recenti hanno iniziato a spostarsi nelle più fertili pianure sottostanti e molte di queste abitazioni sono state abbandonate. Oggi il nostro trekking, da Dourou a Tireli, si svolge quasi tutto in pianura, spesso su piste di sabbia, e non presenta particolari difficoltà. Fa molto caldo; Idriss, la nostra guida, ci dice che quest’anno è stato un po’ anomalo: ha piovuto molto più del solito e ora le temperature sono parecchio più alte della norma, superano i 40°. Molti componenti del gruppo (compreso Massimo) si lamentano per il troppo caldo: a me non dispiace, se poi penso che a Genova piove… mi godo questo sole implacabile! L’architettura dogon non ha uguali nel resto del mondo: la struttura in pietra e fango viene inserita in uno spazio recintato contenente uno o due granai. Le persone già circoncise ma non ancora sposate vivono in camerate suddivise per sesso. I granai, dal tipico tetto di paglia a cono, sono sorretti da palafitte in legno al fine di isolare il mais o gli altri raccolti dai parassiti e la loro caratteristica più importante sono le complesse ed elaborate decorazioni che ornano le porte e le persiane; purtroppo molte sono state vendute a a turisti senza scrupoli e sostituite con delle squallide porte in lamiera. All’entrata di ogni villaggio dogon c’è un feticcio, in pratica una cupola di fango, che dovrebbe proteggerlo dai pericoli: Idriss ogni volta si raccomanda di non toccarlo, sarebbe un sacrilegio! Altra caratteristica saliente sono i togu-na, attorno ai quali ruota gran parte della vita del villaggio: è uno spazio coperto da un tetto molto basso, sorretto da nove colonne costruite con otto strati di steli di miglio. Sono il punto d’incontro degli uomini anziani della comunità che vi si ritrovano per discutere questioni riguardanti il villaggio o anche per passare qualche ora in compagnia fumando o chiacchierando. Oggi passiamo dal villaggio di Komokani dove c’è un imponente togu-na e verso l’ora di pranzo arriviamo a Tireli, dove ci fermeremo stanotte. Il campment è decisamente migliore di quello della notte scorsa, montiamo le nostre tende sul tetto, ci rilassiamo un po’ e poi nel pomeriggio assistiamo a una tipica cerimonia dogon, chiamata Sigui. In realtà, quella che vediamo noi è una replica della vera cerimonia che si svolge ogni 60 anni (l’ultima si è svolta nel 1967). Il ritmo è incalzante e le maschere davvero impressionanti, la più caratteristica è una maschera copricapo altissima (a volte anche più di 10 metri) che raffigura un serpente. Ogni maschera rappresenta un animale e ci sono anche alcuni bravissimi trampolieri. La cerimonia è abbastanza breve però molto affascinante e coinvolgente.

Giovedì 18 novembre 2010   

Oggi partiamo alle 7.30 per camminare con una temperatura più accettabile. Lasciamo Tireli e ci incamminiamo lungo una pista sabbiosa che costeggia la falesia. Il paesaggio è bellissimo, forse un po’ monotono: ci sono alberi di tamarindo e di baobab, ma questo è un paese senza tempo ed essere immersi in questo mondo è quasi magico. Arriviamo nei pressi del villaggio di Amani e ci fermiamo alla vasca dei coccodrilli sacri: i dogon dicono che questi coccodrilli mangiano pecore, polli, capre.. ma non gli abitanti del villaggio.. ma io non ho visto nessuno entrare in acqua! I coccodrilli sono tutti abbastanza piccoli, e sembrano molto tranquilli. Il villaggio è situato più in alto sulla falesia: all’ingresso c’è il solito feticcio che noi dobbiamo stare ben attenti a non toccare. Il nostro trekking prosegue e arriviamo a Ireli, classico villaggio dogon con granai cilindrici e numerose antiche abitazioni tellem situato ai piedi della falesia. Qui ci fermiamo per pranzare e per riposarci. Un gruppo di bambini mi si avvicina e, come capita sempre, mi chiede di fotografarli: quasi sicuramente è una rara occasione in cui possono vedere il loro aspetto. Questa volta, però, una ragazzina mi porge un biglietto con un indirizzo e mi chiede di spedirle le foto. Chissà se ha scritto lei il biglietto o se l’ha scritto la sua maestra.. penso che in ogni caso questa bambina va a scuola, cosa non così scontata qui. Quando tornerò a casa spedirò le foto a questi bimbi: ogni promessa è debito! Riprendiamo a camminare verso le 15 e dopo un’ora di agevole camminata arriviamo a Banani. Ci sistemiamo al campment, abbastanza confortevole, Come al solito dormiamo in tenda sulla terrazza.

 

Venerdì 19 novembre 2010  

Solita levataccia, smontaggio tenda e partenza puntualissimi alle 7. Subito saliamo nel villaggio di Banani, posto più in alto rispetto al campment. Ci sono molti edifici tellem abbarbicati sul fianco della falesia e vediamo anche l’hogon, la capanna dove vive, isolato da tutti, il santone. Visitiamo poi Neni, Ibi e infine alle 10.30 arriviamo a Koundou dove ci fermeremo stanotte. Durante il tragitto, al solito, ci hanno seguito moltissimi bambini, sono un po’ insistenti e io quasi non li vedo più, però la visita a questi paesi mi pone sempre molti dubbi: questi bimbi, stracciati ed estremamente poveri, sono pieni di sorrisi e i loro visi sembrano sereni. Il popolo dogon custodisce la propria cultura, le proprie tradizioni, il proprio stile. Quella dove, ancora oggi, le bizze e le follie del “mondo civile” non hanno procurato gli effetti devastanti a noi ben noti. Quegli effetti che hanno snaturato gran parte dei popoli del mondo, che hanno appiattito le diversità e che hanno cancellato, per logiche di ricchezza e di potere, millenni di storia umana. La sistemazione al solito è molto spartana, montiamo al solito le tende sul tetto e poi pranziamo, io mangio cous-cous con verdure. Il primo pomeriggio trascorre in relax; andiamo a vedere alcune sculture di un artista che ha la boutique proprio davanti al campment: è uno scultore affermato e le sue opere sono molto originali. Verso le 16.30 facciamo un giro in paese, accompagnati, come sempre, da un nugolo di bambini. Il paese è tutto pianeggiante, e in fondo c’è una piccola duna: è sabbia del Sahara, il deserto sta avanzando qui nel Sahel ed è per evitare la desertificazione che i dogon piantano alberi, ma il processo sembra inarrestabile e la vita nel Sahel è molto dura e difficile. Al ritorno, io e Massimo incontriamo un signore italiano che sta facendo uno studio sui dogon: questo popolo antico e misterioso non ha affascinato solamente Griaule e, in tempi più recenti, Marco Aime… Stasera Teresa, la siciliana del gruppo, cucina un’ottima pasta con patate e prosciutto e io l’aiuto.

 

Sabato 20 novembre 2010  

Partenza alle 7. Oggi è la giornata più impegnativa del trekking e io sono un po’ preoccupata. I miei compagni di viaggio sono in formissima, io decisamente no. La prima ora di cammino, fino al piccolo villaggio di Yougana, è in pianura e poi da qui inizia la salita. In nostro soccorso, però, arrivano dei ragazzini del posto che, per una cifra irrisoria, si offrono di portarci lo zaino e ci seguono come un’ombra, aiutandoci nei passaggi più difficili. Mi sento molto rassicurata e penso di aver fatto un ottimo investimento.. Sarà anche per questo che la salita non mi sembra poi così tanto impegnativa. Per salire sulla cima della falesia passiamo in una spaccatura strettissima, arrampicandoci sulle scale dogon. Arriviamo vicinissimi alle case tellem, nei pressi di Yougadouro. In cima alla falesia il panorama è mozzafiato, sconfinato e struggente come solo l’Africa può essere. Camminiamo sulla falesia e poi iniziamo la discesa e arriviamo a Yougapiri, dove ci fermiamo a mangiare un ottimo (o sarà la fame?) cous-cous. Ci riposiamo un paio d’ore e poi ci incamminiamo in discesa per un po’ e poi l’ultimo tratto in pianura, fino a Yendouma, dove ci fermeremo stanotte. Il campment offre una bella vista sulla pianura sottostante, è sera, e la luce rosata del sole rende l’atmosfera davvero magica. E’ bellissimo stare affacciati sulla terrazza e vedere la vita che scorre di sotto: le donne che tornano a casa dopo una giornata di lavoro nei campi o a prendere l’acqua per tutta la famiglia, accompagnate dagli immancabili bambini, gli uomini con i carretti trainati dagli asini carichi di legna, qualche bimbo che gioca, donne che lavano i panni nel piccolo lago. Una vita dura affrontata con serenità e una grandissima dignità. Stasera anziché dormire in tenda scegliamo la camera (spartanissima). Anche stasera mangiamo cous-cous (un po’ scotto).

Domenica 21 novembre 2010    

Nonostante la camera io non ho dormito quasi niente… alle 5.30 ero già sotto la doccia! Partiamo al solito alle 7; oggi sono venuti a prenderci i fuoristrada 4×4 per portarci a Hombori. La prima tappa è a Douentza, facciamo un po’ di spesa e poi proseguiamo percorrendo una pista di sabbia che attraversa un territorio stupendo: alberi di acacia punteggiano una distesa di erba verde, ci sono parecchie pozze d’acqua, dice Idriss che quest’anno ha piovuto più della norma. I circa 80 km che separano Douentza e Hombori sono chiamati “Monument Valley del Mali”, ed è un nome ben meritato: i magnifici contrafforti di arenaria che si ergono in questa zona del Sahel sembrano quasi una visione. Poco prima di arrivare a Hombori e al nostro campment passiamo vicino alla famosa Main de Fatima, la più bella palestra di roccia dell’Africa occidentale e ambita meta di arrampicatori provenienti da tutto il mondo. Le sue esili torri simili a dita si elevano dalla pianura fino a un’altezza di 600 m. offrendo la possibilità di arrampicate tecniche di livello mondiale. Dopo pranzo è previsto un trekking attraverso le rocce della Main de Fatima, ma io non ci penso nemmeno ad andarci, non ho più voglia di camminare e non ho più voglia di faticare. Massimo naturalmente va, siamo solamente in quattro a non andare. Il pomeriggio passa davvero in fretta, tra doccia, lettura e una visita alla vecchia Hombori, villaggio in pietra affacciato sul più anonimo nuovo villaggio. Vediamo la casa del capo villaggio e una porta del XIII secolo proveniente da Timboctu; da qui è visibile anche l’Hombori Tondo, la vetta più alta del Mali (1155 m). Camminiamo per le vie labirintiche del piccolo villaggio e noto con un po’ di stupore che qui i bambini non chiedono nulla, si limitano a salutarci. E’ l’ora del tramonto e l’atmosfera è davvero magica: il muezzin invita i fedeli alla preghiera e gli uomini accorrono. C’è la luna piena sopra la grande moschea di fango e l’aria è limpidissima. Purtroppo sta venendo buio ed è ora di rientrare; mi spiace lasciare questo villaggio tranquillo. Al campment incontriamo i nostri compagni di viaggio che sono appena tornati dal trekking: loro hanno faticato di più, ma, dicono, la camminata non era poi così tremenda. Cena al campment, anche stasera siamo in camera, purtroppo però ci sono parecchie zanzare.

 

Lunedì 22 novembre 2010    

Colazione ottima al campment e poi partenza alle 7. Con le nostre 4×4 ritorniamo a Savarè e poi proseguiamo per Konna, dove ci imbarcheremo sulle pinasse. Vediamo tantissime mandrie che si spostano, i pastori sono quasi sempre bambini; il paesaggio è davvero maestoso, ci sono alcuni villaggi con strane capanne rotonde di paglia essiccata: sono abitate dai bela, gli schiavi dei tuareg. In Africa purtroppo la schiavitù è ancora presente e i bela seguono i tuareg nella loro vita nomade. Sotto il sole cocente e implacabile donne coloratissime portano con grande eleganza ceste colme di mercanzie o secchi di acqua. Quando arriviamo a Konna… le pinasse non ci sono! Dopo una concitata telefonata con il corrispondente andiamo a Mopti e verso le 16 finalmente ci imbarchiamo. La pinassa è perfino meglio di come mi aspettavo: lo spazio non è molto ma abbiamo anche un bel tavolo. La vita sulle rive del Niger sembra molto attiva: alcune donne lavano i panni, altre si muovono indaffarate, i pescatori tirano a riva le reti sulle loro piccole pinasse; sull’acqua del grande fiume, sospinte da vento e dalle pertiche, incontriamo imbarcazioni dalle improbabili vele. Ci fermiamo in un piccolo villaggio, visitiamo le vie strette tra le case di fango e vediamo la moschea, come sempre accompagnati da un nugolo di bambini. Ancora un po’ di navigazione e poi ci accampiamo in uno spiazzo sulle rive del fiume. Qui non ci sono campeggi, siamo solo noi, e solo per noi va in scena un tramonto da urlo. Spettacolare la luna che spunta tra le pinasse ormeggiate. Cuciniamo spaghetti al pomodoro e mangiamo sulla pinassa.

 

Martedì 23 novembre 2010   

Tutto sommato ho dormito discretamente e non ho avuto nemmeno freddo. Colazione in pinassa e si parte. Il primo villaggio che visitiamo ha una moschea costruita di recente, nel 1992, in fango e mattoni. Nei vicoli polverosi passeggiano tranquilli gli asini, con il loro sguardo dolce e mite; ne abbiamo visti tantissimi qui in Mali, sono una grande forza lavoro e un grande aiuto per l’uomo. Non mancano naturalmente i bambini, un po’ meno insistenti del solito. Pranziamo in pinassa e visitiamo altri villaggi, tutti piuttosto simili; sono villaggi molto poveri, raggiungibili solo via mare, per cui hanno pochi contatti esterni. La navigazione prosegue e verso le 15.30 arriviamo nel luogo dove passeremo la notte, ed è uno spettacolo! Sembra di essere nel deserto, ci sono piccole dune di sabbia rossa e io subito salgo per vedere dall’alto lo splendido panorama: dune e il grande fiume Niger. I bambini del vicino villaggio accorrono a salutarci, ma anche loro sono poco invadenti. Ceniamo presto e alle 20 andiamo già a dormire!

 

Mercoledì 24 novembre 2010     

Partiamo puntuali alle 6.30 e facciamo colazione in pinassa durante la navigazione. Stiamo andando verso sud, arriveremo a Mopti nel tardo pomeriggio. La giornata in navigazione trascorre lenta e un po’ noiosa. A Mopti ci sistemiamo in un albergo veramente squallido, per fortuna che almeno la doccia funziona e dopo una bella rinfrescata siamo pronti per uscire. Mopti è definita la “Venezia del Mali”, ma il paragone è a dir poco azzardato, a prima vista mi sembra una città ben poco affascinante. Ceniamo al Bozo Restaurant, in una terrazza affacciata sul fiume; il cibo è ottimo ma il locale… è in linea con l’albergo!

Giovedì 25 novembre 2010    

Dopo colazione andiamo a visitare Mopti. Appena usciti dall’albergo ci avvicinano dei ragazzini che si offrono di farci da guida. Prima andiamo nella città vecchia; qui è tutto molto decadente, ma ci sono parecchi lavori di pavimentazione in corso che fanno ben sperare. Poi ci tuffiamo nel mercato del giovedì, un’esplosione di vita e di colori; si vendono generi alimentari e, al piano superiore, souvenir. E’ tutto molto autentico, poco turistico e c’è meno confusione che a Djennè. Anche sul fiume l’attività è febbrile; ci sono pinasse stracariche di merci pronte a partire, e altre che arrivano, sempre stracariche: tra le innumerevoli merci ci sono anche pecore e galline. Sul fiume vediamo anche il “cantiere” dove si costruiscono le pinasse, tutte rigorosamente a mano, e all’estremità opposta del mercato ci sono i tuareg che vendono le lastre di sale. Si è fatta ormai ora di pranzo e ci fermiamo a mangiare un ottimo pesce. Alle 14 partiamo per Segou. Arriviamo che è ormai buio, sono le 20 e andiamo a cena. Questa sera ci concediamo una serata mondana che si rivelerà però un vero fallimento: in breve,la Lonely Planet consiglia un locale dove suonano musica africana, dice che è un posto splendido, ma il proprietario dell’albergo (italiano!) ci dice di andare in un altro locale, tristissimo, dove siamo gli unici clienti: scopriamo poi che qui lavora sua moglie, e allora capiamo tutto! 

 

Venerdì 26 novembre 2010   

Riprendiamo il viaggio verso Bamako; il pullmino arriva in ritardo, ma oggi abbiamo solo quattro ore di viaggio. Arriviamo a Bamako alle 14 e dopo poco con un taxi andiamo in centro: vediamo la moschea e il coloratissimo e caotico mercato. Ci sono molti negozi che vendono oggetti e monili di argento, e artigiani di tutti i tipi: ci sono anche quelli che fanno le splendide maschere dogon (bravissimi!) e i sarti con le vecchissime macchine da cucire Singer che confezionano su misura camicie e pantaloni. Naturalmente c’è molta confusione, e optiamo per tornare in albergo. Ceniamo e andiamo in aeroporto. Il viaggio di ritorno sarà lunghissimo!

 

Sabato 27 novembre 2010   

Il volo Air Algerie parte puntuale alle 23.45, arriviamo ad Algeri alle 4.30 e dobbiamo aspettare fino alle 10.40 il volo per Roma, quindi alle 17.35 il volo per Genova. Come sempre al mio rientro, ho sentimenti contrastanti: non ho proprio voglia di tornare a casa, ma nello stesso tempo non mi fermerei più a lungo in Mali. L’Africa con i suoi contrasti e la sua gente ha un impatto emotivo molto forte; mi sembra di essere qui da tanto tempo, eppure sono solo due settimane.. Siamo stati proiettati in una realtà talmente forte e sconvolgente che quasi mi sono dimenticata la mia vita.. Mi rimane il grande rammarico di non essere andata a Timboctu, anche perché a quanto pare non è poi così pericoloso.. Ricorderò sempre, però, questi colori e queste persone, questi paesaggi surreali, che sono splendide opere d’arte della natura, le moschee turrite costruite interamente in fango, i villaggi di arenaria rosa scolpiti nelle pareti rocciose, e panorami desertici dolcemente ondulati che sembrano tratti da un racconto di Lawrence d’Arabia… Ingoiato dal deserto, il Mali risente purtroppo delle conseguenze della siccità e di altre piaghe, pestilenze e carestie, che lo fanno annoverare tra una delle cinque nazioni più povere del mondo. La mortalità infantile e la malnutrizione sono molto frequenti, così come i bassi livelli di alfabetizzazione e una scarsa aspettativa di vita. La popolazione è stoica e paziente per natura, e l’amore per la propria patria e lo stile di vita tradizionale hanno colpito dritto al mio cuore, dove ci sarà sempre un posto per questi paesaggi senza tempo. E mi lasciano una certezza: in Africa io prima o poi tornerò.

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