ALL'ARDHA MELA: Il pellegrinaggio di massa degli hindu per il bagno rituale nel sacro fiume Gange

Febbraio 2019 - Diario di viaggio di Susanna Pierini
10 giorni

Avevo visto le immagini del Maha (Grande) Kumbh Mela del 2013, che si dice abbia riunito 80.000.000 persone in due mesi per questo atto di devozione, e mi ero detta che ci sarei andata. Ma invece di aspettare il 2025 (il Maha Kumbh si tiene ogni 12 anni), nel 2019 a Prayagraj – Allahabad – era previsto l’Ardha Kumbh, ovvero la celebrazione che avviene a metà del ciclo astrale dei dodici anni … e così la decisione è stata presa; verificate le date della festività  determinate dall’astrologia vedica, il mio piccolo gruppo, tre donne e un uomo, ha deciso di essere a Prayagraj per l’abluzione rituale del 10 febbraio.

L’arrivo a Delhi avviene tra la nebbia e lo smog alle 7,00 della mattina del 4 febbraio e subito ci troviamo di fronte ad una miriade di veicoli e umanità che rumorosamente invadono ogni millimetro delle grandi strade della capitale indiana pedoni, bus, automobili, biciclette, moto e motorini, tuk tuk, carretti, tutti intenti a suonare per conquistarsi uno spazio.

Il nostro non lo definirei un viaggio per visitare l’India, ma un’occasione per rivedere alcuni luoghi già noti e scoprire qualcosa di nuovo.

Iniziamo dall’area archeologica di Qutb, dominata dal magnifico e infinito minareto, realizzato in blocchi di un bel rosso intenso screziato di giallo tenue, riccamente decorati in ricorsi orizzontali. Il sito, inserito nel Patrimonio dell’Umanità, è frequentato da gruppi di turisti indiani e stranieri e da gruppi di studenti indiani intenti a farsi il miglior selfie possibile girando tra archi e portici.

Durante il nostro soggiorno nella capitale siamo affidati ad un gentile autista sikh con l’elegante turbante colorato, perfetta guida al Gurudwara (tempio) Shri Rakab Ganj Sahib di New Delhi. I Gurudwara hanno una matrice comune, sono dei centri religiosi con spazi comuni e di servizio, un’aula di preghiera, un museo e il grande bacino rettangolare di acqua, fulcro dello spazio religioso. Qui a Delhi tutti gli edifici sono di un bianco candido, l’aula di preghiera è un leggiadro cubo di marmo bianco con la cupola dorata e da una scalinata si scende verso l’invaso d’acqua riflettente, attorno al quale i fedeli compiono un giro, gli uomini con il capo coperto da una bandana colorata, le donne con un velo sui capelli.

Il tempio è aperto a tutti e tutti possono avere un pasto, un rito collettivo a cui anche siamo invitati, seduti uno accanto all’altro, lungo una stuoia, viene servito nel piatto in metallo riso, dal (zuppa di lenticchie) e chapati (pane). A fine pasto ognuno senza distinzione di censo lava accuratamente il piatto in cui ha mangiato nel cortile secondario che sembra parte di una “zona conventuale”, si respira un’aria di inclusione e gioia di accogliere.

Il secondo giorno lo dedichiamo allo splendido complesso di mausolei moghul che precedono e accompagnano verso la tomba dell’imperatore Humayun, immersa in un giardino geometrico e rigoglioso, posta su un alto basamento ad archi. L’architettura del mausoleo in pietra arenaria rossa con decorazioni in marmo bianco e nero, eretto a metà del 1500, è l’archetipo del più conosciuto Taj Mahal.

​All’ingresso e lungo i viali di questo sito siamo circondati da gruppi di scolaresche, ognuno con la propria divisa colorata, rumorosi e felici ma ordinati. Giusto al fianco di questa zona monumentale, è stata recuperata, per volere dell’Aga Khan Trust, una vasta area verde circa 25 ettari che conserva alberi e piante insieme a piccoli padiglioni. La Sundar Nursery (Azim Bagh ai tempi Moghul) è una vera oasi di pace, dove sono stati disegnati splendidi e rigogliosi giardini con fiori e acqua a richiamare l’antica matrice persiana, popolati di uccelli (falchi, merli e pavoni) e  di farfalle.

Un prezioso progetto di conservazione dell’ambiente in una delle città più inquinate al mondo, una città che appare sterminata con un traffico disordinato, rumoroso ed eccessivo.

L’itinerario di avvicinamento a  Prayagraj ci porta ora a Varanasi – Benares –  dove prima in auto, poi in riksciò a pedali e infine a piedi entriamo nella magica città vecchia, un intrico di vicoli stretti e ombreggiati in cui transitano mucche e cani tra una moltitudine di gente. È una città stratificata con un atmosfera da città medioevale, una stratificazione di immagini, di sensazioni e di anime. Si cammina trasportati da fiumi di persone che tornano o vanno verso i Ghat per concludere il loro Mela nella città sacra a Shiva.

Edifici colorati, templi e edicole votive, balconi e cortili conducono alle sponde del Gange, fino alle alte cataste di legna pronte per essere acquistate per le pire dei defunti. Ogni gradino delle scale che costeggiano il fiume è gremito di volti giovani e anziani, ricchi e poveri focalizzati su quel gesto importante, la purificazione in un fiume che certo puro non è.

Purtroppo la dissennata scelta di “liberare” i monumenti più importanti e facilitare i percorsi dei cortei funebri a colpi di ruspa, sta cancellando case antiche e vicoli, impoverendo e modificando irrimediabilmente l’aspetto storicizzato della città. Dopo il bagno di folla è un sollievo tornare al nostro Tree of Life Resort, nella zona agricola intorno a Varanasi, dove gli unici rumori sono quelli degli uomini e degli animali domestici intenti al loro lavoro e degli uccelli che riposano sui campi umidi. Accompagnati dallo chef e dal manager di questa isola ricettiva, raffinata e rispettosa dell’ambiente circostante al tempo stesso, possiamo esplorare il villaggio rurale dove i contadini lavorano la terra e allevano capre e bufale, si producono mattoni di sterco per il fuoco e altrove si tesse la seta con telai elettrici. È una gara ad accoglierci nelle case, sempre con il sorriso di donne e bambini, ad offrirci assaggi di street food o piccoli doni. Anche qui la modernità fa sì che le tradizionali case in terra e bambù con tetti di tegole vengano sostituite da case in mattoni o cemento con la toilette, e acqua e luce per tutti, è il prezzo per condizioni di vita migliori.

Per evitare blocchi stradali dovuti alle prevedibile moltitudine di persone che, e con ogni mezzo, si spostano contemporaneamente verso Allahabad, ci muoviamo alle 3:00 in minibus privato coprendo i 150 km tra deviazioni per lavori in corso, lunghe file di camion sul ciglio della strada, incidenti e passaggi a livello chiusi per il transito di interminabili treni merci. Alle 6:00 infine arriviamo nell’addormentato campo tendato che ci ospiterà nei giorni dedicati all’Ardha Mela; sorge sulla riva del fiume al limitare tra la città permanente e la città temporanea che nasce ogni 12 anni al Triveni Sangam, la confluenza sacra dei fiumi Gange e Yamuna.

La sensazione iniziale è di essere in Africa per un safari, forse in altri tempi, in una confortevole tenda, riscaldata da stufa elettrica, con veranda, pavimento in legno e bagno privato, immersa però, invece che nel silenzio della savana, in un brusio continuo ed incessante.

Che emozione uscire per una prima ricognizione in questo agglomerato provvisorio per essere parte di una tradizione antica 5000 anni, catalogata patrimonio intangibile dell’Umanità, un sogno che si avvera e che per noi culminerà nella partecipazione al Basant Panchami, il terzo Shani Snan – bagno dei sadhu, dei discepoli e asceti. Camminando ascoltiamo numeri che suonano incredibili, un’area urbanizzata in maniera temporanea e reversibile di 10 kmq, con 250 km di strade e 22 ponti mobili per ospitare in due mesi fino a 100.000.000 di pellegrini  e visitatori. La prima sensazione è di stordimento per i colori sgargianti, per l’atmosfera da fiera, per i mille volti di santoni e fedeli,  per i loro sorrisi e per le frequenti richieste di essere insieme in un selfie o ritrarli in una fotografia, nessuno è stupito che degli occidentali siano lì, anzi chiedono se e quando andremo a bagnarci. Uomini e veicoli camminano lungo le strade ricoperte di sabbia e lastre metalliche agli incroci, ci sono tende ovunque, le più grandi sono templi e ashram, ci sono file di bagni chimici per uomini e donne e orinatoi, c’è l’illuminazione stradale e i piccoli negozi fatti anche solo da un telo steso a terra, ci sono distributori di acqua, spogliatoi per chi fa le abluzioni, c’è una gestione dei rifiuti, i posti di polizia e perfino furgoncini con il bancomat mobile.

Il passaggio dall’immensa isola di sabbia all’altra sponda del fiume lo facciamo sui ponti realizzati con grossi galleggianti in metallo, enormi serbatoi, e passerelle modulari in ferro; sono lunghi, affollati e dedicati alcuni al solo passaggio pedonale altri ai veicoli. Non facciamo che sorprenderci per la estrema organizzazione e fluidità nonostante i flussi interminabili.

Ci passano accanto persone venute da ogni parte dell’India che qui trovano accoglienza nelle aree parcellizzate ed affidate a scuole religiose, a confraternite, a gruppi vari che offrono alloggio, cibo, discussioni religiose, spettacoli e canti devozionali. La parte più importante del grande raduno spetta ai mistici, Yogi e Sadhu, a volte completamente nudi e ricoperti di cenere, come i Sadhu Naga. Tutti portano complicate acconciature, frutto di anni di crescita incontrollata di capelli e barbe, ognuno si distingue per una singolare peculiarità che va dall’indossare occhiali da sole a specchio all’avere lucchetti e lance ai testicoli.

Siedono attorno a piccoli fuochi sacri in conversazione o meditazione, assorti nelle recitazioni, fumando e dormendo in preparazione per la guida  delle processioni verso le acque sacre seguiti da migliaia di devoti.

Oltre a camminare, osservare, ascoltare si può partecipare ad una delle attività più affollate, raggiungere in barca la confluenza dei due fiumi per fare quel bagno che è in grado di ‘pulire e purificare da tutti i peccati’. L’imbarco sotto il Forte di Allahabad brulica di coloro che possono permettersi la spesa di una gita sulle grandi barche in legno, allegre e cariche. Dopo una lenta navigazione a mano, si arriva ad una secca dove uomini, donne, bambini, anziani, giovani passando di barca in barca trasbordano e felici, avendo riposto con cura i propri indumenti, si piegano nelle acque torbide.

Il 10 febbraio arriva ed è preannunciato da un incremento inverosimile degli arrivi, tutte le strade di accesso alla città temporanea si trasformano in fiumi, le forze dell’ordine ne chiudono alcune, per regolare in qualche modo il transito, o meglio ne alternano i sensi di marcia.

La partenza dal campo è prevista per le 3:30 e le raccomandazioni sono tante, soprattutto di non perdere mai di vista i compagni di gruppo, di tenersi per mano possibilmente, di non essere mai nel centro delle strade …

Nel buio si scorgono i preparativi: si addobbano i mezzi di trasporto camion e trattori con rimorchi, i sadhu  imbiancano il loro corpo fumando per raggiungere lo stato di estasi ed eccitazione necessario ad affrontare il freddo dell’aria e dell’acqua. Siamo al punto di partenza del corteo principale e quando tutto si avvia diventiamo parte di quella folla che spintonando a passo veloce, quasi una corsa, diventa un interminabile processione lungo i ponti fino al fiume, dove veniamo fermati per lasciare che i Naga siano i primi a bagnarsi sotto gli occhi di fedeli, giornalisti, fotografi e telecamere di canali televisivi. Tutto si conclude in pochi minuti con la celebrazione dell’abluzione di massa, il bagno rituale collettivo che si compie allo scopo di raccogliere le benefiche energie cosmiche che permettono di purificare il karma e facilitare il raggiungimento degli obiettivi spirituali, il fine ultimo della fede hinduista. Il percorso a ritroso ci permette di vedere da vicino Baba, maestri, e discepoli issati su decine di carri mentre è sorta una splendida alba di luce rosata che esalta i colori della festa, giallo, arancio, rosa, rosso, sparsi ovunque … e non vorremmo mai lasciare tutto questo, questa città nella città, un mondo a sé !

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