Eritrea: un viaggio memorabile

1941 - Diario di viaggio di Sergio Bono

Era il mattino del 23 luglio 1941. Ricordo la data con esattezza in quanto, mentre salivo sull’autocarro che mi avrebbe riportato all’Asmara, sentii ventun colpi di cannone per onorare il 50o compleanno di Haile Sellassie Negus d’Etiopia.

Stavo finalmente per lasciare Addis Abeba ove gli italiani vivevano momenti molto difficili.

Ma come ero riuscito a diventare un passeggero di quell’autocarro quando era così difficile lasciare la città?

Ecco come. Dalle autorità inglesi in Eritrea era giunta una richiesta a quelle etiopiche di concedere ad un ufficiale medico italiano il trasferimento ad Asmara, ove era necessaria la sua opera di ortopedico per alleviare i disagi dei numerosi mutilati di guerra reduci dal fronte di Cheren.

Saputo che la scelta era caduta su di un suo amico, mio papà si appellò alla sua amicizia affinché mi portasse con se’ come figlio quindicenne, ma per fare questo era necessario creare documenti falsi.

Gli immancabili amici provvidero alla bisogna ed io mi ritrovai con una nuova famiglia ed il tanto sospirato permesso fu ottenuto anche per me senza che le autorità rilevassero il falso.

Il viaggio, senza alcuna scorta, iniziò con il superamento del posto di blocco all’uscita da Addis Abeba.

Ricordo ancora la figura di quell’ufficiale medico ch e non si demoralizzava di nulla e che cercava di minimizzare i pericoli per tranquillizzare tutti.

L’autocarro assegnatoci per il viaggio era guidato da un autista di cui ho dimenticato il nome ma non il viso e la sua simpatia. Ricordo come. In si scoraggiasse mai di nulla, né della strada dissestata ne’ dei ponti di emergenza che dovevamo attraversare senza avere la certezza di superarli a causa della loro instabilità e della strada ricoperta dal fango creato dalle grandi piogge appena iniziate.

Durante il viaggio non mancarono episodi di paura, come quando attraversammo una zona amministrata da un “deggiac” ( nobile sottoposto ad un “ras”) ove fummo fermati da uomini armati e condotti nel suo ”tucul”. Qui, in un clima apparentemente amichevole,  ci fu offerta una tazza di “ciai” che l’ufficiale medico, con un gesto tanto spontaneo quanto ingenuo, ricambiò con una sigaretta estratta dal suo portasigarette d’oro. Quel gesto gli costò molto caro perché la vista dell’oggetto risvegliò la cupidigia del “deggiac” che lo pretese come pedaggio.

E fu giocoforza cederglielo perché gli uomini armati alla sue spalle promettevano poco o nulla di  buono.

E così potemmo riprendere incolumi il nostro viaggio.

Ricordo anche le notti trascorse all’addiaccio, spesso tenuti svegli dalle urla sinistre delle jene che si avvicinavano in modo preoccupante.

Ma soprattutto ricordo l’emozione che provai nel passare attraverso l’Amba Alagi dov’è poche settimane prima un gruppo di uomini al comando del Duca d’Aosta aveva dovuto rinunciare ad una resistenza impossibile. Il terreno presentava i segni delle dure battaglie, con trincee ancora evidenti e materiale bellico sparso ovunque.

Ad ogni modo, dopo una decina di giorni il nostro viaggio di circa mille chilometri – pur fra peripezie varie- giunse alla metà e credo di essere nel giusto se affermo che probabilmente noi arrivammo incolumi all’Asmara anche perché, per una buona metà del percorso, abbiamo goduto della insperata protezione di un automezzo militare inglese ben armato, proveniente dalla Dancalia e diretto in Eritrea, da noi casualmente incontrato nella piana di Cobo’.

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