Nigeria, Delta del Niger, Ken Saro-Wiwa

2006 - Diario di viaggio di Francesco Cecchini
1 anno

Itaca
Quando partirai per Itaca, desidera che il viaggio sia lungo, ricco in peripezie e in esperienze. Non temere né i Lestrigoni, né i Ciclopi né la collera di Nettuno. Non vedrai niente di simile sulla tua strada se i tuoi pensieri saranno elevati, se il tuo corpo e la tua anima si lasceranno sfiorare solo da alte emozioni. Tu non incontrerai né i Lastrigoni, né i Ciclopi, né l’indomito Nettuno, se non li porti in te stesso, se il tuo cuore non te li innanza davanti. Desidera che il cammino sia lungo, che numerosi siano i mattini d’estate dove,  con quale gioia, penetrerai in porti visti per la prima volta. Fai scala negli empori fenici e compra merci belle: madreperla e coralli, ambra ed ebano e mille specie di profumi seducenti. Comprane più che puoi di questi profumi seducenti. Visita numerose città egiziane ed apprendi avidamente dai loro saggi. Tieni Itaca continuamente presente nel tuo spirito. Il tuo scopo ultimo è ritornarci, ma non accorciare il tuo viaggio: vale meglio che duri degli anni e che tu ritorni alla tua isola i giorni della tua vecchiaia, ricco di tutto quello che hai trovato nel cammino senza aspettarti che Itaca t’ arricchisca. Itaca t’ ha donato il bel viaggio, senza di lei non ti saresti messo sulla via Ella non ha più nulla da darti. Se la troverai povera, Itaca non ti ha ingannato. Saggio, quale sei divenuto dopo tante esperienze, hai alla fine compreso cosa significano le Itache.

Costantino Kavafis

 

Il viaggio di ritorno a  Itaca di Ulissa  è stato lungo  dieci anni, per far ritorno alla sua isola, vagando per il Mediterraneo. Ne ho impiegati di più e visitato molti paesi e città del mondo. Ho trascorso pezzi di vita altrove, per lavorare, ma anche per scoprire,  per ritornare e poi raccontare per ricordare. La mia Itaca non è un’isola, ma una penisola, l’Italia. Lo stesso, il cammino è stata la meta, cioè il ritorno in Italia, dopo i viaggi.  Ho viaggiato, quindi, non da Itaca a Itaca, ma dall’ Italia all’Italia.

A Ken Saro Wiwa.

Le fiamme di Shell sono fiamme dell’Inferno

Ci crogioliamo sotto la loro luce

Nulla ci protegge dalla rovina

Della maledetta Shell

Da Genocide in Nigeria – The Ogoni tragedy di Ken Saro-Wiva.

 

La Nigeria non esiste, è un’ invenzione del colonialismo britannico, che ha tracciato linee di confine. La Costituzione Macpherson diede corpo nel 1954 alla Federazione della Nigeria che accedette alla piena indipendenza il primo ottobre 1960, sotto l’occhio benevolo degli ex padroni britannici. Divenne repubblica nel 1963 restando nel Commonwealth e fu caratterizzata da inconciliabili contrasti d’ordine etnico, religioso e politico fra le tre maggiori regioni o meglio nazioni, Hausa, Igbo e Yorubà. Significativa di questa situazione fu la guerra del Biafra iniziata il 30 maggio 1967, poco tempo dopo l’indipendenza. La guerra infuriò fino al gennaio 1970, quando il Biafra si arrese. Durante la guerra il Biafra fu anche colpito da una drammatica carestia che affamò tra gli otto e i dodici milioni di persone. Guerra e carestia provocarono milioni di morti.
Per lavoro ho girato tutta la Nigeria da Sokoto a Maiduguri, dal confine con il Benin a quello con il Cameroun. Ho vissuto del tempo a Kaduna, in hausa kada significa coccodrillo,  di cui ricordo le giornate del vento harmattan che riempiva di sabbia e polvere la città. Kaduna, come d’altra parte tutto il paese, è lontana dal deserto ma ogni anno l’ harmattan porta in Nigeria il Sahara. Ero a Kaduna quando scoppiarono scontri tra mussulmani e cristiani per un articolo che  affermava che anche al profeta Maometto sarebbe piaciuto un concorso di bellezza per Miss Mondo. Tre giorni di violenza, famosi come gli Scontri di Miss Mondo, che causarono duecentocinquanta morti e trentamila fuggiaschi. La mia segretaria,Gaudie, cristiana con la famiglia se ne andò a Lagos. A Kaduna vi è anche un lussuoso Polo Club, eredità della colonia,  dove si gioca a polo e  mussulmani e cristiani ricchi siedono vicini in comode poltrone senza scannarsi.

Abito un paio di mesi ad Abuja, larghe vie pulite, moderna e noiosa, poi a Port Harcourt ed infine a Lagos.

Lagos e Bombay oltre la mostruosità urbana hanno in comune l’origine. Tutte e due furono fondate da portoghesi. Bom Bahia, che divenne Bombay e ora Mumbai e Lagos che non ha cambiato nome.

A Lagos la mia vita è stata privilegiata  ho vissuto  a Victoria Island, che non e’ solo un isola fisica, ma anche sociale e culturale nel mare tempestoso di questa città.  All’Eko Hotel si può ascoltare high life music in un ambiente elegante, vi sono ristoranti thailandesi, italiani, libanesi.

A Victoria Island vi è Victoria Beach una spiaggia  dove è possibile prendere il sole e fare il bagno. Il fine settimana la  spiaggia si riempie di  espatriati, che giocano a pallavolo ed altro, sembra di essere nella  riviera romagnola.
Vicina a Victoria Island, basta attraversare un ponte, il Falomo Bridge, vi è la libreria Jazzhole.  All’interno vi à un Caffé e di sera piccole band suonano jazz. A volte nella pausa pranzo  vado nella libreria,  una miniera di libri di tutto il mondo e dischi, da high life a juju  ad afro beat. La libreria è frequentata da espatriati e nigeriani ricchi, i prezzi sono alti. Compro libri di Chinua Achebe e di Chinamanda NgozI Adichie, ma innanzitutto scopro Ngũgĩ wa Thiong’O, scrittore e saggista keniota. Compro Petals of Blood e  Decolonizing the Mind. Un uomo, che si presenta come Fola, autore di un romanzo, mi vede comprare Decolonizing the Mind mi avvicina e dice: “Ngũgĩ afferma che se si vuole assoggetare i corpi vi sono le armi. Con queste è stata conquistata prima e poi colonizzata l’ Africa, ma per rendere stabile tutto ciò il colonialismo è intervenuto nelle scuole per formare a suo uso e consumo delle élites locali. Dovevano essere colonizzate le menti. In Africa, il portoghese, il francese e l’inglese sono state le lingue del potere, le lingue del governo di tutta l’ammianistrazione e delle classi medie ed alte che potevano studiare. Ciò anche in Nigeria dove le lingue originarie come lo yoruba hanno perso terreno di fronte all’inglese.  Ngũgĩ wa Thiong’O decise di scrivere,  innanzitutto, in lingua gĩkũyũ, la sua lingua madre, per comunicare con la sua gente. Anche noi yoruba dovremmo scrivere e parlare in yoruba, rivalorizzare la nostra lingua, decolonizzare le nostre menti.”
Ascolto con attenzione Fola, ma penso che il popolo che si è liberato dal colonialismo può considerare la lingua del colonizzatore, inglese, francese o spagnolo, che ora parla e scrive, come il bottino di una guerra vinta. Di fatto il premio nobel Wole Soyinka, yoruba, scrive in inglese e anche Decolonizing the Mind fu scritto in inglese da Ngũgĩ wa Thiong’O.

A nord di  Victoria Island vi è una città immensa e non tutta sicura. L’autista, Adeyemi , accetta di portarmi al club fondato da Fela Kuti, ora dei figli Yeni e Femi.  che si trova a Ikeja, solo se partiamo a tardo pomeriggio, con la luce, e ritorniamo la mattina. Per evitare di incontrare Area Boys, bande giovanili, o altri delinquenti, che di giorno spacciano droga nei quartieri che controllano, ma con il buio rapinano e anche uccidono.

Una domenica finalmente andiamo al The Shrine, la musica è la stessa che suonava Fela Kuti, l’Afrobeat. Femi come il padre si esibisce a petto nudo togliendosi una camicia rossa. Le canzoni sono  quelle di Fela e le ballerine scatenate e poco vestite. Canzoni e musica smettono alle due di notte. Con Adeyemi aspettiamo la luce del mattino in auto, ascoltando la radio  e parlando. Parliamo dei musei di Lagos, che Adeyemi conosce. ” Il Museo Nazionale si trova a Onikan nella vecchia Lagos, attorno vi sono edifici in stile brasiliano costruiti dagli yoruba di ritorno dal Brasile. Il museo sono quattro edifici, squallidi fuori e dentro. Le gallerie sono povere. Altra cosa è il Muson Centre, i cui spazi sono ben distribuiti in tre edifici principali. Vi sono anche un ristorante, un auditorium e un teato. I reperti sono ben esposti nelle gallerie.  A Badagry a una settantina di chilometri a ovest di Lagos vi è il Black Heritage Museum, 9 gallerie con centinaia di reperti  che raccontano  il commercio degli schiavi, con documenti, catene, ed altro. L’intera città di Badagry è un museo , dal mercato aperto in cui venivano messi all’asta gli schiavi, fino alla via di uscita utilizzata un punto di non ritorno. Ho accompagnato molte volte degli espatriati tuoi colleghi, ma per me è sempre una visita dolorosa.”

Adeyemi è uno yoruba fiero di esserlo e conosce la storia degli schiavi  trasportati e venduti in America Latina. ” Prima di venire in Nigeria ho incontrato gli yoruba, la loro religione e cultura, a Cuba e a in Brasile. A Salvador de Bahia mi hanno parlato di Yemayà e Changò.” gli dico e vengo  guardato con più simpatia.

E’ a Port Harcourt che conosco il Delta del Niger, immenso e drammatico, e Ken Saro-Wiwa.
Il Delta del Niger è l’area fluviale più vasta dell’Africa. Era un paradiso ecologico, un ecosistema dove foresta pluviale, paludi alluvionali e anse del fiume si amalgamavano in un perfetto equilibrio tale da far vedere, in modo netto ed inequivocabile, la straordinaria bellezza della natura e da far vivere, attraverso la pesca, la caccia e l’agricoltura oltre 20 milioni di persone. Una terra di acque e dei resti di quella che una volta era una tropicale foresta tropicale. E’ un ventaglio alluvionale fornato dal fiume Niger che sbocca nell’Oceano Atlantico. A nord vi è una pianura dove è la foresta è stata disboscata per far posto all’agricoltura. Poi vi è una palude di magrovie e acqua fresca che il Niger ogni tanto innonda, è ricca di vegetazione, il cuore dell’antica foresta pluviale. PIù a sud vi è una miriade di rami del Niger circondati da  mangrovie. In fondo il Delta è circondato da isole di sabbia.  Per secoli il Delta e la sua gente, hanno vissuto di pesca ed agricoltura, ma da quando nel 1956 la Shell Oil trovò ed iniziò ad estrarre il petrolio iniziarono tempi di dolore per il Delta e per popoli, Ogoni,Ijaw,Ibibio, Andoni, Itsekiri,Uruhobo, che vi abitano. Le ferite alla terra e alla gente sono dovute dalla fuoruscita di greggio e dall’inquinamento provocato dalle combustioni.
Percorro la strada che da Port Harcourt porta a Bonny, dove seguo un progetto. L’autista, Steve, mi dice che la strada in parte confina con Ogoniland, ma nient’altro, né io chiedo.
Una sera un collega, Lebe, un uomo del Delta,  mi invita a cena in un ristorante libanese, di libanesi ve ne sono più in Nigeria che in Libano. Oltre i piatti che si possono mangiare a Beirut, hommous, tabouleh, kofta, shawarma vi è cucina nigeriana.
” Ti consiglio la Pepper Soup è un piatto  della Nigeria meridionale. C’è anche la Snake Pepper Soup, se ce la fai a mangiare pezzi di serpente.”
” Ce la faccio, ho mangiato serpente a Sai Gon, il sapore assomiglia a quello dell’anguilla. L’unico animale che non mangio è il cane.”
La colonna sonora è musica juju.
Dopo aver mangiato pezzi di serpente in brodo, mentre prendiamo caffè e fumiamo, Lebe mi da A Month and a Day di Ken Sarò-Wiwa e mi consiglia di leggere altri libri di Ken e di guardare il Delta. Sto per dire qualcosa, ma Lebe mi blocca.
” Ne parliamo dopo che avrai letto e guardato. Puoi visitare la zona attorno a Bonny. Sulla strada Da Port Harcourt a Bonny vi sono deviazioni per Ogoniland , l’autista è un ogoni ti  può portare in quella terra. Io posso  farti vedere il nord del Delta. Il resto è pericoloso, vi sono bande armate che scorrazzano.”
Leggo A Month and a Day e inizio a conoscere Ken Saro-Wiva e il suo popolo, gli Ogoni. Il libro termina con questa frase: Il genocidio degli Ogoni ha assunto una nuova dimensione. La  narrerò nel mio prossimo libro, se vivo per raccontare la storia. Ken non scrisse un altro libro, solo lettere dal carcere, prima di venir impiccato. Mi procuro anche Sozaboy, A Genocide in Nigeria e leggo tutto quello che trovo sulla sua vicenda.
Nel 1990 Ken Saro-Wiwa fondò il MOSOP (Movement for the Survival of Ogoni People) e con il suo popolo  iniziò una lotta dura e pacifica contro il governo nigeriano e le compagnie petrolifere, la Shell innanzitutto.  Gli obiettivi erano l’autonomia politica di Ogoniland; l’equa distribuzione dei proventi del petrolio; interventi mirati a riportare giustizia per una popolazione devastata dalle trivellazioni e ridotta alla povertà a vantaggio dei pochi; una politica di compensazione che fosse rapportata agli ingenti danni ecologici che avevano distrutto la loro intera area abitata. Ken Saro-Wiwa accusò la Shell di essere responsabile e la Shell lo fece arrestare più volte e poi impiccare dal suo uomo al comando in Nigeria, il sanguinario dittatore  Sani Babangida.
In una lettera, prima di venire impiccato, al suo amico, lo scrittore Willam Boyd, Ken Saro-Wiwa scrisse: “ Il mio morale è alto. Non vi è dubbio che col tempo la mie idee vinceranno, ma dovrò sopportare il dolore di questo momento…  la cosa più importante per me è che ho utilizzato il mio talento di scrittore per permettere al popolo Ogoni di opporsi ai loro carnefici. Non sono stato capace di farlo come uomo d’affari o come politico. I miei scritti lo fecero. E questo mi rende felice. Sono mentalmente preparato per il peggio, ma spero per il meglio. Penso che ho moralmente vinto.”
Alle undici e trenta di mattina del 10 novembre 1995,  Ken Saro-Wiwa fu impiccato, dopo lunghi giorni  di detenzione  e di torture psicologiche e fisiche, in una caserma di Port Harcourt.
Per l’impiccagione fu trasportato alla prigione di questa città. I boia, arrivati un paio di giorni prima da Sokoto, nel nord,  dovettero appenderlo alla forca 5 volte prima di rubargli la vita. Le sue ultime parole furono: ” Signore predi la mia anima, ma la lotta continuerà”

Con lui furono impiccati 8 suoi compagni. Il primo fu Ken poi gli altri, uno ad uno. Una donna si avvicinò ai corpi e disse:” Perché la comunità internazionale non è venuta ad aiutarvi” E con aria trionfante mise i piedi in cima ai corpi. Da bere venne servito ai dgnitari che avevano assistito, mentre i corpi degli impiccati vennero cosparsi di acido. Si dice che l’ impiccagione fu filmata per il piacere di Babangida, ma non vi sono tracce del filmato. Vi è  invece un video dove Ken Saro-Wiwa appare nel tribunale di Port Harcourt e pronuncia la sua difesa. Ken parla in ogoni, ma vi sono i sottotitoli in inglese: “Accuso Shell di razzismo perché quello che fa in Nigeria, e nella terra Ogoni, non lo farebbe in altre parti del mondo”.  Affermò.
Avvocati della difesa rassegnarono le dimissioni per protesta contro la manipolazione del processo da parte di Babangida. Molti  testimoni ammisero di essere stati corrotti dal governo nigeriano per sostenere le accuse. Due testimoni che hanno testimoniarono che Saro-Wiwa era coinvolto negli omicidi degli anziani Ogoni, ma più ammisero  che erano stati corrotti con denaro e offerte di lavoro da Shell per dare false testimonianze.
Non capisco Steve che parla uno stretto pdgin english poco comprensibile , anche lui non mi capisce. Con lui vado a vedere la casa/studio  di Ken Saro-Wiwa a Port Harcourt. L’indirizzo,  Aggrey Road, me lo dato Lebe . Siamo nella vecchia Port Harcourt vicino all’oceano, case basse con verde circondate da alti edifici. Vorrei chiedere delle spiegazioni per individuare esattamente il fabbricato, ma Steve non riesce a farmi da interprete e non riesco a trovare nessuno che parli inglese.

Tempo dopo Steve mi porta a Bori e poi a Bane nella terra degli Ogoni. A Bori è nato Ken Saro-Wiwa e a Bane è sepolto, nella casa che era del nonno. ….

Dopo l’impicaggione lui e gli altri 8 militanti erano stati fatti gettare in una fossa dal loro assassino Babangida. Il corpo era stato recuperato e sepolto dai figli.

Ho l’occasione di vedere lo  scempio fatto alla natura e a un intero popolo, che Ken Saro-Wiwa  ha descritto in A Month and a day  “Lo sfruttamento ha trasformato Ogoni in una terra desolata: terre, torrenti e insenature sono totalmente e continuamente inquinate, l’atmosfera è stata avvelenata, caricata com’è con vapori di idrocarburi, metano, monossido di carbonio, anidride carbonica e fuliggine emessa da gas che ha è stato bruciato per ventiquattro ore al giorno per trentatré anni ( il libro è del 1995) in stretta vicinanza alle abitazioni umane. Le piogge acide, le fuoriuscite di petrolio e le esplosioni di petrolio hanno devastato il territorio di Oboni. I gasdotti ad alta pressione attraversano pericolosamente la superficie dei terreni agricoli e dei villaggi Ogoni.”

L’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite da uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro o più.  Inoltre c’è il gas flaring, fiamme che oscurano il giorno e  accendono le notti. Tutto galleggia, giorno e notte, in un calore umido.
Tempo dopo, mentre mi accompagna a Onithsa nel nord del Delta, chiedo a Lebe cosa pensa di Ken Saro-Wiwa. Lebe mi risponde così: ” Non sono un Ogoni, ma sento Ken Saro-Wiwa come un mio leader. Non è morto, vive  e guida ancora non solo il popolo Ogoni, ma tutti i popoli del Delta fino a che saranno liberi dallo sfruttamento della Shell e delle altre compagnie petrolifere ed oltre.”

Altri diari di viaggio che possono interessarti

Ad Adi Quala, per la festa di Maryam – Diario di viaggio

Ad Adi Quala, per la festa di Maryam – Diario di viaggio

Era un bisogno il mio, di viaggiare in Eritrea. Per provare comprenderne un pò di più la sua
tormentata storia, oltre i libri, le letture, la documentazione e i racconti, per incontrare il suo
popolo, gli anziani con ancora il ricordo degli italiani e i giovani che hanno gli stessi sogni di tutti i giovani del Mondo. Ho desiderato viaggiare in Eritrea per poter unire i pezzi di un percorso antico che dall’altra parte del mare, passando per Adulis e attraverso passi di montagna, arrivava fino ad Axum. Volevo percorrere la strada che scende a Massaua, camminare lungo le sue vie, sentire la pelle, seccata per il clima dell’altopiano, sudare per l’umidità. E viaggiare nella terra dove ha messo radici, come le mettono le erbe matte, la presuntuosa espansione coloniale dell’Italia.
Ho una passione che mi farà tornare in Eritrea. Gli Afar della Dancalia.

Mali – Diario di viaggio

Mali – Diario di viaggio

Si parte per il Mali! Alle 8.25 abbiamo il volo da Genova, arriviamo a Roma e lì incontreremo il gruppo di Avventure nel Mondo. Abbiamo avuto pochi contatti con i nostri compagni di viaggio, solo qualche mail con la capogruppo. Io non ho contattato nessuno perché non voglio immaginare come saranno i componenti del gruppo prima di partire, preferisco scoprirlo “sul campo”, perché troppe volte l’apparenza inganna. L’appuntamento è alle 11, abbiamo tutto il tempo di fare le cose con calma e di prendere l’ultimo caffè italiano a Fiumicino. Da Roma voliamo ad Algeri, dove dobbiamo aspettare 5 ore il volo per Bamako. Chiacchieriamo con alcuni componenti del gruppo e ci prendiamo un caffè algerino. L’aeroporto è piuttosto nuovo e deserto, siamo solo noi e poche altre persone. Il volo per Bamako prosegue per me in dormiveglia.. sono circa 4 ore ma mi sembra lunghissimo… Arriviamo a Bamako alle 23, per fortuna con noi arrivano anche tutti i bagagli e quindi andiamo in albergo: squallidissimo, nel classico stile Avventure nel Mondo. Vado a dormire tardissimo, perché voglio riorganizzare il bagaglio e farmi una doccia.

Mali di fine secolo – Diario di viaggio

Mali di fine secolo – Diario di viaggio

Il viaggio di ritorno a  Itaca di Ulissa  è stato lungo  dieci anni, per far ritorno alla sua isola, vagando per il Mediterraneo. Ne ho impiegati di più e visitato molti paesi e città del mondo. Ho trascorso pezzi di vita altrove, per lavorare, ma anche per scoprire,  per ritornare e poi raccontare per ricordare. La mia Itaca non è un’isola, ma una penisola, l’Italia. Lo stesso, il cammino è stata la meta, cioè il ritorno in Italia, dopo i viaggi.  Ho viaggiato, quindi, non da Itaca a Itaca, ma dall’ Italia all’Italia.

Goa, tra la salsedine e l’incenso – Diario di viaggio

Goa, tra la salsedine e l’incenso – Diario di viaggio

E’ un posto strano Goa. E’ un’India che non è India.
Quando arriviamo all’aeroporto di Dabolim, dopo ore di aerei e attese, veniamo avvolti dall’afa e da una folla di persone. Poi ci aspetta un’altra ora e mezza di strada polverosa e trafficata, fino ad arrivare a Palolem.

Goa è lo stato più piccolo, potrebbe facilmente passare inosservato sull’enorme mappa del Paese, ed è anche il più ricco, con un PIL pro capite di due volte e mezzo la media nazionale. Il motivo è legato al suo passato e al turismo, che attira ogni anno migliaia di persone lungo i suoi 100 Km di costa.

VUOI RIMANERE AGGIORNATO?

Iscriviti alla nostra newsletter