Feng Shui a Saigon

Febbraio - Dicembre 1988 - Diario di viaggio di Francesco Cecchini
8 mesi

Itaca
Quando partirai per Itaca, desidera che il viaggio sia lungo, ricco in peripezie e in esperienze. Non temere né i Lestrigoni, né i Ciclopi né la collera di Nettuno. Non vedrai niente di simile sulla tua strada se i tuoi pensieri saranno elevati, se il tuo corpo e la tua anima si lasceranno sfiorare solo da alte emozioni. Tu non incontrerai né i Lastrigoni, né i Ciclopi, né l’indomito Nettuno, se non li porti in te stesso, se il tuo cuore non te li innanza davanti. Desidera che il cammino sia lungo, che numerosi siano i mattini d’estate dove,  con quale gioia, penetrerai in porti visti per la prima volta. Fai scala negli empori fenici e compra merci belle: madreperla e coralli, ambra ed ebano e mille specie di profumi seducenti. Comprane più che puoi di questi profumi seducenti. Visita numerose città egiziane ed apprendi avidamente dai loro saggi. Tieni Itaca continuamente presente nel tuo spirito. Il tuo scopo ultimo è ritornarci, ma non accorciare il tuo viaggio: vale meglio che duri degli anni e che tu ritorni alla tua isola i giorni della tua vecchiaia, ricco di tutto quello che hai trovato nel cammino senza aspettarti che Itaca t’ arricchisca. Itaca t’ ha donato il bel viaggio, senza di lei non ti saresti messo sulla via Ella non ha più nulla da darti. Se la troverai povera, Itaca non ti ha ingannato. Saggio, quale sei divenuto dopo tante esperienze, hai alla fine compreso cosa significano le Itache.

Costantino Kavafis

 

Il viaggio di ritorno a  Itaca di Ulissa  è stato lungo  dieci anni, per far ritorno alla sua isola, vagando per il Mediterraneo. Ne ho impiegati di più e visitato molti paesi e città del mondo. Ho trascorso pezzi di vita altrove, per lavorare, ma anche per scoprire,  per ritornare e poi raccontare per ricordare. La mia Itaca non è un’isola, ma una penisola, l’Italia. Lo stesso, il cammino è stata la meta, cioè il ritorno in Italia, dopo i viaggi.  Ho viaggiato, quindi, non da Itaca a Itaca, ma dall’ Italia all’Italia.

Ritorno ad Ha Noi da Dien Bien Phu. Prendendo l’ aereo  ascolto da un altoparlante l’ inno che i combattenti del  Viet Minh cantavano nel lontano maggio del 1954.  Un ragazzo vietnamita me lo traduce ed io annoto quattro versi in un quadernetto:

… Oh che felicità il giorno che venimmo a nord ovest!
I nostri compatrioti sono entusiasti e con felicità salutano il ritorno.
Colline e fiumi sono splendenti; la nostra nazione è’ radiante.

Sopra i campi di Dien Bien Phu, le rosse bandiere della vittoria illuminano il cielo.

Dien Bien Phu si trova nel nord del Viet Nam, a pochi chilometri dalla frontiera con il Laos a est e non molto lontana dalla Cina, a nord.  La città, è in una pianura di risaie, attraversata dal fiume Nam Yuma,  circondata da colline e montagne verdi. Non distante c’è un lago. Chi oggi la visita ci viene per vedere, ma il campo di battaglia dove il colonialismo francese fu ferito a morte. C’ è il cimitero dei soldati viet minh morti in battaglia, il museo dove con immagini, disegni e parole è raccontata in dettaglio la battaglia. Vi sono i resti di una fortificazioni, un vecchio carroarmato francese. Per i caduti francesi non c’ è un cimitero, ma una stele in un giardinoben curato   li ricorda. Bigeard alla morte vuole che le sue ceneri vengano sparse dove è stato sconfitto. Se ciò è mai avvenuto lo spargimento è stato clandestino. D’ altra parte chi può volere Bigeard, il torturatore del popolo algerino, anche se incenerito?

.Quindi un luogo remoto di poca importanza se non nella testa dei militari francesi che  convinti che possa essere il luogo adatto per saldare i conti, dopo sette anni di combattimenti, con l’ insurrezione armata vietnamita, scelgono invece la propria tomba.

Il 20 novembre di 1953 3 battaglioni di paracadutisti francesi occupano Dien Bien Phu. In 4 mesi i battaglioni diventano 12. I soldati sono bene armati ed addestrati. Abbondano artiglieria, mortai e carriarmati. C’ è anche una pista con aerei da combattimento. La vallata è una rete di postazioni fortificate militari da nomi di donne: Gabrielle, Natacha, Dominique ed altri. I francesi attendono il confronto militare, fiduciosi che la posizione è imprendibile, la loro unica preoccuoazione è che il viet minh non venga in forza ed in massa. Pensano inoltre che le forze vietnamite non possano essere rifornite per più di 4 o 5 giorni. Quello che cercano è la soluzione finale, l’ annichilamento.

Il 13 marzo del 1954 il generale Nguyen Vo Giap attacca : improvvisamente, coraggiosamente. Giap sceglie anche il clima favorevole. Il monsone innoda postazioni e trincee del nemico di acqua e fango che annegano i feriti. Il sangue

Un solo episodio a testimonianza di intelligenza militare ed eroismo. La fortificazione Eliane cade dopo 36 giorni. I soldati vietnamiti, i boi doi avevano scavato sotto Eliane una lunga galleria e fanno esplodere un migliaio di chili di TNT. La terra trema brutalmente tonellate di zolle di terra si sollevano verso il cielo.
Il cratere di 50 m. Di diametroprovocato dall’esplosione può essere visto da chi visita Die Bien Phu. Ai bordi vi sono delle case e c’ è il monumento .
Dopo 55 giorni, il14 maggio, sono i francesi ad essere annichiliti.
Il Generale Giap stesso analizza le ragioni della vittoria: “ I militari francesi secondo la loro logica formale avevano ragione. Noi eravamo lontani dalla nostre basi 500, 600 km. Erano convinti, sulle esperienze precedenti, che non potevamo rifornire il nostro esercito sul campo di battaglia oltre un centinaio di chilometri.e solamente durante 20 giorni. Noi abbiamo aperto delle piste, mobilizzato 260.000, i nostri piedi sono di ferro, dicevano, utilizzato migliaia di biciclette costruite a Saint Etienne, che abbiamo modificato per portare carichi di 250 kg. Per lo stato maggiore francese era impossibile che noi potessimo issare nelle alture che dominano la conca di ien Bien Phu.e tirare a vista.Abbiamo smontato i cannoni per trasportarli pezzo a pezzo per trasportarli in sentieri nascosti scavati nei fianchi delle montagne, all’insaputa del nemico.Navarre aveva notato che mai avevamo combattuto in pieno giorno ed in piena campagna. Ma noi avevamo scavato 45 chilometri di trincee di guerra e 450 km di sentieri trincerati di comunicazione, che giorno dopo giorno avevano sgranocchiato le cime delle montagne.”

Il nome originale Muong Tenh, nella lingua dell’ etnia locale, significa Città del Cielo. Dien Bien Phu, il nome vietnamita, suona alle mie orecchie esotico, ma vuol dire, più o meno, Capoluogo Amministrativo di Confine. Dien Bien Phu si trova nel nord Viet Nam,a pochi chilometri dal confine del Laos e non molto lontano dalla Cina. La città è in una pianura di risaie, attraversata dal fiume Nam Yuma e circondata da  colline e montagne verdi. Non lontano c’ è un lago. Ho visitato il campo di battaglia con le varie postazioni fortificate, tutte con nomi di donne, Gabrielle, Natacha, Dominique… . Vi è un museo dove con immagini, disegni e parole è raccontata la battaglia che uccise  il colonialismo francese. Vi è il cimitero dei soldati Viet Minh, un vecchio carro armato francese, un cannone. Dalla città una scalinata porta alla cima di una collina dove un monumento ricorda la vittoria. Per i caduti francesi non c’ è un cimitero, ma una stele, in un giardino, li ricorda. Se è vero che Bigeard, il torturatore del popolo algerino, volle che le sue ceneri venissero sparse dove fu sconfitto, molti sperano che queste siano finite in qualche fogna a cielo aperto. Lo penso anch’io.
Ho visitato anche il  dogs market dove credevo di trovare cani vietnamiti che abbaiavano e non pezzi di carne da bollire od arrostire.

Ad Ha Noi piove una pioggia fine e vi è nebbia  che ai francesi  fanno ricordare il crachin della Normandia o della Bretagna  e a me la garúa di Lima.

Pioggia leggera

Garua di Ha Noi

La città è verde

La città non è grigia, vi è il verde dei parchi e dei viali alberati, i laghi sono chiari  e le mantelle di plastica che proteggono la gente dall’ acqua sono multicolori . Questo clima dona bellezza ad Hanoi. La città al di là’ del fiume, quello rosso,  è un simbolo, sempre lo è stata. Prima dell’ impero della dinastia Le, quando si chiamava Tha Long, la città del dragone, poi del dominio coloniale francese nel Tonkino, infine della lotta contro l’ imperialismo americano. Oggi è la capitale del Viet Nam dove coesistono architetture millenarie, costruzioni coloniali e grattacieli.

Ho deciso di trascorrere il Tȇt del 1998 al nord. E’ l’ anno della tigre. Per alcuni giorni non si lavora,  i vietnamiti  lo trascorrono in famiglia, visitano amici e famigliari, gli stranieri fanno del turismo.
Sono in fila di fronte al mausoleo di Ho Chi Minh, che si trova in pazza Ba Dinh, dove Il padre della patria lesse la dichiarazione d ‘ indipendenza il 9 settembre, e  vicino al più’ grande lago della città, Ho Thay, Lago dell’ Ovest o Grande Lago. In questa mattinata il monumento  è avvolto da acqua e nebbia che non alleggeriscono la pesante struttura sovietica e  ne accentuano il carattere funerario. Il grigio marmo di Da Nang con cui è  stato costruito è ancora piu’ grigio.
Ho Chi Minh aveva chiesto che dopo la sua morte venisse cremato e le sue ceneri,  messe in tre urne funerarie,  venissero interrare in cima a tre colline, una al nord, una al centro ed una al sud a simbolizzare l’ unificazione del paese.
Le volontà non sono state rispettate dal partito;  il corpo è stato imbalsamato da esperti russi  in una caverna per sfuggire ai bombardamenti. Ritorna a Mosca ogni anno per manutenzione.  La fila di turisti, vietnamiti e stranieri, è lunga e questo mi da tempo di pensare se entrare o no. Sono indeciso, temo che la vista del corpo imbalsamato di Ho Ci Minh rovini l’ idea che ho di lui. Inoltre non entrare  significa anche onorare il suo vero testamento. Sto  per uscire dalla fila quando  suona il cellulare. E’ Nga.
” Devi ritornare immediatamente a Sai Gon. La padrona vuole interrompere l’ affitto dell’ ufficio e dell’ abitazione. Nel contratto scaduto  non c’è niente che parla di rinnovo. Madame, ci lascia un paio di  giorni dopo la fine del Tet. Dopo dobbiamo sgomberare.”
Ho casa ed ufficio sul confine tra Sai Gon e Cholon, vicino all’ Equatorial Hotel ed di fronte alla Chiesa di San Francesco Saverio.
Non riesco ad anticipare il volo Hanoi Sai Gon, prenotato per la fine del Tȇt. Vietnam Airlines è intasata. L’ agenzia viaggi mi trova un sedile in un bus che fa Ha Noi Da Nang e parte quasi subito, poi un volo per Ho Chi Min City. Durante il viaggio non guardo il Viet Nam, ma penso ai cattivi giorni che mi attendono o dormo.
Nga è all’ aereoporto e dice che forse  ha trovato qualcosa.
Il cielo di Sai Gon è senza nuvole, limpido, fa caldo. Attraversiamo in taxi  la città in festa. Nel viale Ngyuen che vedo sulla destra dall’ auto  c’ e’ il mercato  dei fiori, pieno di piante e di rami gialli di pruno. Un poco più in là in pieno centro ci fermiamo agli  uffici di Expatriate Service, gestita da due franco-vietnamiti ,Caroline e Marc.  L’ ufficio, senza impiegati, è aperto solo per me e Caroline, la direttrice, dopo i saluti, mi dice : ” Ho qualcosa che può servire. Un edificio di quatto piani, oltre l’ entrata al piano terra, 2 stanze  per piano. Stretto ed alto. Senza mobili”
Andiamo subito dove l’ edificio si trova, in Die Bien Phu street, quasi all’ incrocio con Hai Ba Trung. Di fronte c’ è un parco. È parte di una schiera di altri edifici lungo la strada. Mi piace, non ho voglia di perdere tempo e definisco  le condizioni del contratto, con attenzione alla clausola di rinnovo per non trovarmi un’ altra volta improvvisamente cacciato.
” Nel prezzo è compreso del Feng Shui, se ti interessa.”
” Certo. So poco di Feng Shui. Ho letto qualcosa. Sara bello vedere Vento ed Acqua in azione”
” Allora andiamo, ora,  a Cho Lon, dove vive il geomante che lavora per me.  Così domani mattina, se libero,  potrà venire. Il geomante, prima,  vuole vedere chi vivrà nell’ edificio e parlargli.”
Caroline telefona al geomante che ci riceverà.
Ho vissuto al confine con la Cinatown di Sai Gon, ma  l’ ho attraversato solo un paio di volte, senza addentrarmi e senza afferrare la differenza tra le due città.
E’ sera ed il viale che porta a Cho Lon è un fiume di  motociclette e di automobili. La colonna sonora del viaggio è il suono frastornante e continuo dei claxons.  Il cuore della città  è un labirinto illuminato. Chin il geomante abita in una viuzza affollata di cinesi. Al piano terra c’ è un negozio di  cose che non distinguo bene, piante, serpenti imbottigliati, polveri,  sopra c’è il suo ufficio ed una camera da letto. Anche Chin è un cinese e mi saluta con un leggero inchino a mani giunte
” Il tuo inchino, mi sussurra Caroline,  deve essere leggermente più in avanti.  Devi salutare per primo, ma sarà per la prossima volta.”
Lei non viene salutata e non saluta.
Ci sediamo attorno ad un tavolo dove ci sono 4 tazzine,  una teiera con del te e un dolce.
Chin mescola  cinese e vietnamita. Caroline  versa il te e traduce il vietnamita mescolando inglese e francese.
” Dove sei nato, quando, in che giorno, non solo la data,  e a che ora?”
Non ricordo il giorno e l’ ora
” Sei un cane di fuoco, cerca di sapere appena puoi il giorno e l’ ora”
Chin verrà in Dien Bien Phu domani mattina presto.
Al ritorno si fermiamo all’ Arc-en-ciel e saliamo nella terrazza.
“ Mangiamo o beviamo solo qualcosa?” Chiede Caroline.
“Non ho fame, ordina tu qualcosa da bere.”
Caroline ordina alla cameriera del calvados  con ghiaccio ed una fettina di mela
” Mi piace il calvados più del cognac ed ho imparato questo miscuglio  leggendo uno scrittore italiano. Posso leggere l’italiano. Mia sorella vive a Roma.”
Il calvados arriva con ghiaccio, ma senza la fettina di mela. Caroline si guarda bene dal protestare
Mentre beviamo guardiano dall’ alto uno scorcio di Cho Lon. In cielo la luna è piena e bianca.
” Cho Lon non è più quella che ha descritto Gontran de Poncins in Une ville chinoise o da Jean Hugron in Morte en fraude. Allora  era una città della notte e dei piaceri. Non  vi era  solo l’ Arc- en-Ciel, ma Le Grand Monde e molte fumerie d’ oppio. La pipa veniva caricata d’ oppio da una ragazza che poi  si stendeva accanto ed accarezzava.
Mio padre,  era un legionario tedesco, forse un ex nazi, venuto in Viet Nam a combattere con i francesi, era un ufficiale, un colonnello. Conobbe mia madre nel sud a Ca Mau  ma io nacqui a Sai Gon dove ho vissuto e studiato fino ad un mese prima  che i viet cong presero la città.  Avevo 15 anni. “
Caroline mi racconta della sua adolescenza a Sai Gon. Il tennis a le Cercle deportif, la difficoltà di non essere né francese né vietnamita.
“Andammo a Parigi, ma dopo  gli studi  ed un pò di lavoro  sono ritornata in Viet Nam. E’ il mio paese.”
Non parlo, ascolto.
Il mattino dopo  Caroline va a prendere Chin e ci troviamo in Die Bien Phu di fronte all’ edificio.  Con noi c’ è anche Nga. Dico  a Chin l’ ora ed il giorno della mia nascita, che scrive in un pezzo di carta . E’ armato di una bussola geomantica. Caroline apre il portone, Chin entra e non vuole nessuno attorno.
Aspettiamo Chin nel marciapiede, seduti in piccoli sgabelli di un ristorantino. Facciamo colazione con 3 pho bo e del te. No
A Caroline racconto il mio impegno  in Italia a sostegno dei vietcong e dell’ esercito del nord.  La parola d’ ordine del gruppo nel quale militavo non era pace in Viet Nam!  ma Viet Nam rosso! . Un autunno di 31 anni fa bruciai la bandiera a stelle e a strisce di fronte all’ ambasciata americana in Via Veneto.
“Quando ero giovane   i viet cong mi terrorizzavano, dice Caroline, ho cambiato idea. Ora simpatizzo con chi ha liberato il paese. Di My Lai ed di altre tragedie ho saputo in Francia.”
Caterine mi spiega anche l’origine del nome Sai Gon. Sai è una paola cinese e significa legno, Gon designa il cotone coltivato dai cambogiani, moltissimo tempo fa.
Nga e’ del nord, il padre è un comunista duro, arrivato qui con l’ esercito, lei sta cercando marito, magari americano, vuole vivere bene ed andare negli States.
Il parco si svuota, la gente ritorna a casa o va lavorare. Il traffico aumenta sia in Dien Bien Phu che in Hai Ba Trung. Stare all’ aperto è respirare fumo di scarico, ma l’ interno del ristorantino  è pieno e il geomante non ci vuole nell’ edificio.
Chin ritorna dopo un paio d’ ore, si siede ordina un’ insalata di papaia, fa caldo, mangia, beve del te e parla.
” Ti scriverò con calma l’ oroscopo, ma  puoi abitare e lavorare nell’ edificio.  Ho già passeggiato per il parco  Le Van Tam,  una volta un cimitero francese. Tutti i corpi sono stati inviati in Francia o cremati. Anche la terra del cimitero è stata rimossa, ne hanno portata di nuova per il parco, dalle rive del fiume. Non vi sono influenze negative.
Il tuo studio e la tua camera da letto devono dare sul parco. Arreda con mobili chiari, meglio se la scrivania sarà bianca. Metti piante  verdi e fiori di qualsiasi colore,  ovunque. Ma la cosa più importante è acqua che scorre. Al piano terreno dopo l’ entrata vi è una fontana, mettila  in funzione , ma in ogni piano ci dovrebbe essere  acqua che fluisce.”
Ci alziamo  ci salutiamo con un leggero inchino a mani giunte. Io per primo e leggermente più piegato, come vuole l’etiquette. Caroline e Nga, mi guardano e annuiscono.
Chin  e Caroline ritornano  a Cholon,  io e Nga entriamo nei nuovi uffici.
Seguo tutte le istruzioni di Chin.  Perfino svendo  i vecchi mobili dell’ ufficio e ne compro nuovi.  importati da Singapore, di color chiaro.
La vita in Dien Bien Phu street  è piacevole. Il centro di Sai Gon con i suo ristoranti e locali, con l’ Operà ed Il Continental Hotel, non è lontano.  Al mattino gioco a badminton nel parco.
il lavoro è poco,  molto meno degli altri anni. La crisi del 96 del sud est asiatico continua e si fa sentire anche in Viet Nam.
Finisce la stagione secca ed inizia quella piovosa, ma il monsone a Sai Gon  non è violento come nel delta.
Una mattina viene a trovarmi un signore con un mazzo di fiori e mi chiede di poterli depositare all’ ultimo piano, dove ora c’ la mia camera da letto ed un soggiorno. Nga lo accompagna.
Poi ritorna in ufficio e mi porge un biglietto da visita. Si chiama Paul ed francese.
” Subito dopo il doi moi sono venuto in Viet Nam per vedere cosa fare, la situazione prometteva bene e  molte erano le possibilità di fare affari. Erano circa 10 anni fa.  Non avevo  ancora un ufficio, ma abitavo non molto lontano da qui. In questo edificio vi era allora un karaoke che apriva alla sera e non chiudeva troppo tardi. Sai Gon era diversa, i luoghi dove trascorrere tempo libero non erano molti come ora e la vita notturna iniziava e terminava presto. Molte volte venivo in questo karaoke, mi piace cantare. Qui ho conosciuto Mai, ci siamo innamorati e tutto era quasi pronto per sposarla, dopo aver pagato il padrone per lasciarla libera. Le ragazze, 9, quando il locale chiudeva venivano chiuse a chiave all’ ultimo piano perché non se ne andassero.  Era una specie di prigione dove le ragazze che intrattenevano i clienti dovevano pagare il vitto e l’ alloggio e le spese per averle portare a Sai Gon dal delta, dai monti o dalle montagne. Le mance che ricevevano dovevano essere versate. Insomma la schiavitù  era senza fine. Mi misi d’ accordo con il padrone, un cinese di nome, su quanti soldi avrei dovuto dargli per portarla via. Molti. Mancava poco perché Mai venisse a vivere con me, ma una notte scoppiò un incendio che venne spento, ma tutte  e nove le ragazze morirono soffocate. Chiuse all’ ultimo piano non potevano sfuggire al fumo che saliva  Il padrone apri un karaoke in un’ altra parte di Sai Gon. Forse c’ e’ ancora e funziona ancora. Dopo la tragedia abbandonai il Viet Nam e Sai Gon. Vivo in Africa, Senegal ed  la prima volta che ritorno per ricordare Mai. Non l’ ho dimenticata.”
Paul mi mostra la foto di Mai. È una bella ragazza in ao dai bianco. È alta, assomiglia a Nga, sicuramente è del nord. Sorride pensando ad un futuro felice.
Quando le racconto la storia, Caroline rimane stupita, senza parole. Chiama subito il geomante e lo va a prendere a Cho Lon.,
Chni arriva  e visita con calma ogni stanza. Soffermandosi in alcuni punti  per sentire se vi sono presenze.
” Gli spiriti delle ragazze, non sono più qui. Non li ho sentiti la prima volta e non li sento ora. Le ragazze si sono reincarnate, vivono altre vite.Ma la tragedia accaduta non porta del bene  alla vita e gli affari di chi vive e lavora in questo edificio. Ti consiglio di trovare, al più presto un’ altro postoi. Caroline ti può aiutare ed io faro’ Feng Shui, facendo più attenzione a cosa può essere  accaduto in passato.”
Non mi passa nemmeno per la testa di chiedere a gente che vive a Milano di cambiare gli uffici per il parere di un geomante  cinese.
La vita continua, molte sere ceno con Caroline che mi racconta storie. Crede nella reincarnazione; a Parigi un paio di anni fa ha frequentato un signore che con l’ ipnosi di ceva di far ricordare vite passate, ma dopo due sedute, non ha retto. Non dice se per la noia o per paura ed io non chiedo.
Trascorro un week end lungo nel delta. A My Tho visito la casa di Marguerite Duras. Ogni  giorno gioco sempre  meglio a badminton, mi  rifiuto di fare tai chi, come Caroline mi consiglia.
Tutto però inizia a correre veloce, la situazione economica precipita. È un crollo. Progetti vengono annullati o ritardati, anche interrotti. Grattacieli, un ponte, parcheggi sotterranei, perfino uno sotto il parco, nuove fabbriche e strade sono per il futuro. Forse.
Da Milano mi dicono di chiudere. Non sono felice di abbandonare una vita di cinque anni in Viet Nam ed alcuni amici ,ma i soldi per andare avanti iniziano a mancare. Prima di Natale prendo l’ aereo per trascorrere un paio di giorni a Kuala Lumpur e poi raggiungere Venezia.

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