Volontariato in Kenya

Agosto 2018 - Diario di viaggio di Ambra
15 giorni

Un viaggio diverso, da sola, in un paese che per la maggior parte di noi è considerato meta turistica per eccellenza. L’intento è quello di scoprire dal punto di vista più vero luoghi, cultura, popolazione per cercare di dare una mano in una realtà non sempre facile in cui vivere, o meglio sopravvivere, causata anche da una situazione politica instabile. In questo breve diario ho cercato di riassumere la mia esperienza, ci sarebbero così tante cose da raccontare ma per quello dovrei scrivere un libro.

Ore 2.15, suona la sveglia, questa volta però non sarà una normale vacanza. Dopo tre ore di aereo arrivo alla prima tappa: Istanbul. Avrebbe dovuto essere solo un aeroporto di scalo invece sono riuscita perfino a visitare la moschea blu e la basilica di Santa Sofia. Mangiata la tradizionale pannocchia arrostita sono pronta per ripartire alla volta della meta finale. Salgo sull’aereo e comincia ad assalirmi l’ansia e l’agitazione ma ormai non posso più tornare indietro, quello che sarà sarà. Atterro, è l’1.30 di notte, non so esattamente dove sto andando ma solo che qualcuno mi verrà a prendere. Qui ha inizio il mio vero viaggio all’insegna del volontariato internazionale. Non so cosa farò esattamente ma so che qualcuno dovrebbe venire a prendermi per portarmi da qualche parte. Arriva il coordinatore dell’associazione e mi viene detto che partirò dopo colazione per il villaggio e che andrò in una scuola. Non so come spiegare a parole il viaggio in auto per il villaggio e quello che ho visto lì perché sono immagini che solo chi le ha viste da vicino può capire.
Mi trovo a circa 2 ore di auto da Nairobi in un posto chiamato Mathunya e qui non ci sono strade asfaltate, palazzi e acqua pulita. All’inizio tutto è così strano ma passata neanche un’ora mi ci abituo e mi sembra di essere a casa. Sembrerà una frase scontata ma è impressionante come qui le persone siano accoglienti pur non avendo nulla. Tutti sono così gentili e cordiali. Per non parlare dei bambini, uno più bello dell’altro. La scuola dista un’ora di cammino dalla mia abitazione e una volta arrivata mi viene assegnata la classe terza in cui ci sono bambini dai 9 agli 11 anni. Una bambina in particolare mi colpisce, è l’unica femmina della classe ed è intelligentissima. Purtroppo non rivedrò più i suoi profondi occhioni ma il mio viaggio non finisce qui.
Una nuova avventura mi aspetta, il safari nel Masai Mara. Dopo aver passato un’intera giornata su un minibus con una famiglia indiana e aver avuto un piccolo inconveniente al motore finalmente arrivo al campo tendato. Ormai il sole sta tramontando ma la voglia di entrare nella riserva è tanta. Ho visto elefanti, bufali, zebre, leoni, leopardi, tutti liberi nel loro habitat naturale e questo ha qualcosa dell’incredibile.
Trascorso il safari ritorno a Nairobi e resto lì fino al ritorno in Italia. Non voglio perdere un attimo di questa esperienza perciò decido di voler andare ad un orfanotrofio collegato sempre con l’associazione. Passare dal villaggio all’orfanotrofio non è stato facile. Certo, ero pronta ad affrontare una situazione più difficile rispetto alla scuola ma non avrei mai pensato di trovarmi di fronte a una realtà così dura. Incontro il direttore, il quale mi spiega che ci sono bambini e ragazzi che hanno bisogno di essere reintegrati perché abbandonati a loro stessi o peggio ancora perché hanno subito abusi. Si cerca di reintegrarli facendoli studiare e divertire allo stesso tempo ma non è affatto facile in quanto il governo ha deciso di demolire un edificio dell’orfanotrofio per far passare la ferrovia, costringendoli così ad avere solo un’aula studio in cui tutti si ritrovano indipendentemente da età e/o materie. Questo ovviamente crea enormi disagi che si aggiungono a quelli già presenti. È brutto dirlo ma qui manca veramente da mangiare. All’ora di pranzo ogni bambino si presenta in cucina con il proprio contenitore o i più fortunati con un piatto e viene servito loro quello che ad inizio settimana è stato deciso da “menù”. In pratica il pranzo dal lunedì alla domenica è unico per tutti, unico significa sia che non si può scegliere sia che c’è un solo tipo di cibo. Faccio un esempio, i giorni durante i quali io ero presente a pranzo si mangiavano solo fagioli, non c’era pane, pasta riso o quant’altro, il piatto veniva riempito solo da un mestolo di fagioli. Nonostante queste terribili quanto tristi condizioni il clima tra i presenti è pazzesco. Il più grande aiuta il più piccolo e così via. La musica è il rifugio di questi poveri ragazzi per sperare in un futuro migliore. Mi sono venute le lacrime agli occhi quando io e l’altro volontario presente abbiamo posto alcune domande dal tema “what I will do if”. È emerso un forte senso di unione e di generosità, la maggior parte se avessero avuto un milione di dollari ha risposto che avrebbe costruito un centro per aiutare coloro che hanno bisogno. Un’ancora di salvezza è il campo a fianco dell’orfanotrofio, un’area verde dove si può correre e sfogarsi, una vera oasi per loro. Quest’oasi però non durerà a lungo perché sempre su ordine del governo il centro dovrà spostarsi a 50 km di distanza. Un dolore immenso per tutti quanti.
Prima di tornare in Italia mi avrebbe fatto piacere vedere la situazione della sanità in Kenya perciò l’ultimo giorno della mia permanenza l’ho passato in un ospedale o meglio una clinica con dei piccoli ambulatori. Inoltre avevo un po’ di medicinali che fortunatamente non ho usato quindi ho deciso di donarli. Le condizioni della struttura purtroppo non si sono rivelate così buone. Il materiale sanitario è presente ma non sempre viene utilizzato in modo corretto. Per esempio nel reparto dentistico manca un dentista da marzo e molti attrezzi anche molto costosi sono stati danneggiati perché sono stati tenuti in secchi d’acqua per mesi senza mai essere sterilizzarli come si avrebbe dovuto fare. Arrivata l’ultima sera mi viene inoltre detto da una ragazza volontaria infermiera che qui danno l’ibuprofene come anticoncezionale. Ecco la causa di molte gravidanze. Pazzesco. Mi rendo conto di quanto la situazione sia paradossale, quello che servirebbe è un’adeguata formazione non solo su come utilizzare le varie strumentazioni ma soprattutto su come somministrare i farmaci. Qui si conclude questa breve tappa della mia vita. Hasta luego Kenya, le emozioni che mi hai regalato rimarranno sempre nel mio cuore, spero di rivederti un giorno!

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Goa è lo stato più piccolo, potrebbe facilmente passare inosservato sull’enorme mappa del Paese, ed è anche il più ricco, con un PIL pro capite di due volte e mezzo la media nazionale. Il motivo è legato al suo passato e al turismo, che attira ogni anno migliaia di persone lungo i suoi 100 Km di costa.

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